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Liber-ando "Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero Sè"

Uno sguardo sui libri che aiutano a "liberare" il tuo potenziale


Il libro di cui ti voglio parlare oggi risale al 1979, anche se è poi stato revisionato un po’ di tempo dopo.

Parliamo, quindi, di un testo “datato” che però, a mio avviso, non smette comunque di suscitare riflessioni sulla natura umana, lo sviluppo del bambino, la psicopatologia e i legami di attaccamento.

E’ scritto da una nota psicoanalista, gradualmente distaccatasi dal rigore teorico e metodologico di questo approccio, che riesce ad esprimersi in una maniera molto chiara e accessibile pur trattandosi di un testo specialistico.

L’aspetto principale su cui verte tutto il libro è la drammaticità insita, molto più spesso di ciò che si pensa, nella “prigione dorata” di un’infanzia perfetta. Ci sono tanti bambini che vivono immersi in una ricchezza materiale e di stimoli, che sono i migliori in uno o più campi, che si mostrano estremamente educati e “adultizzati”.

Il dramma risiede proprio in questa apparente perfezione: come spiega l’autrice, questi bambini scelgono (ovviamente senza averne consapevolezza) di rinunciare a se stessi, costruendosi una sorta di falso sé per soddisfare le aspettative dei loro genitori.

Non sono amati per ciò che sono, ma per ciò che fanno. Non perché esistono senza “se” e senza “ma”, ma perché devono realizzare dei “progetti” ben precisi che qualcun altro ha predisposto per la loro vita. Ed ecco che, da adulti, potrebbero diventare delle persone perennemente insoddisfatte, estremamente perfezioniste, fobiche rispetto a qualsiasi minaccia di fallimento, egocentriche perché sono convinte di essere migliori degli altri o, al contrario, depresse per quello che sentono di aver perso anche se non sanno trasformarlo in parole.

E’ una lettura che scuote, e che ci mette quasi con le “spalle al muro” costringendoci a guardare in faccia davvero anche le nostre storie personali. Dovresti provare a leggerlo non tanto per iniziare ad avvicinarti al mondo della psicoanalisi (e, del resto, il libro non è poi nemmeno tanto psicoanalitico nel senso ortodosso del termine …), ma per lasciarti attraversare dalla “possibilità della sofferenza”.

Uso volutamente il termine possibilità: concedersi, come sostiene anche la Miller, di guardare in faccia la propria storia senza sconti può davvero rivelarsi un’occasione di crescita, non solo di sofferenza.

Comprendo come, molto spesso, pensare di aver avuto un’infanzia perfetta e dei genitori perfetti sia protettivo e, da un lato, “salvifico”. Ma, è davvero così se poi ci ritroviamo a non saper gioire delle piccole cose, siamo orientati solo al fare e poco all’essere? Se sentiamo dentro un vuoto inspiegabile, corriamo di qua e di là per mantenere degli standard elevati e per “dimostrare” sempre qualcosa dentro e fuori di noi?

La risposta è tua, e questa lettura potrebbe aiutarti a dartela.

 

 

3 COSE CHE HO IMPARATO LEGGENDO QUESTO LIBRO

 

 

1. Il bambino ritrova se stesso nel volto della mamma.

 

Sembra una cosa ovvia e banale, ma non lo è. Immagina un neonato di pochi mesi: la madre e il suo volto sono il suo universo, sono la sua stessa vita, lo fanno esistere. E, proprio per questo, il bambino forma la sua identità e cresce proprio grazie agli occhi amorevoli di sua madreUna madre che lo ama in modo più o meno incondizionato (o comunque coerente …), e che gli permette di essere e di diventare quello che è.

Pensa, invece, ad uno sguardo assente o, ancora peggio, minaccioso: cosa potrà imparare questo cucciolo d’uomo? Forse che se la mamma è triste o arrabbiata è colpa sua, che non va bene così com’è e che, siccome per sopravvivere ha totale bisogno della sua mamma, deve imparare a non essere com’èA non sentire quello che sente, a non fare quello che vorrebbe fare. Solo così, forse, la mamma potrà volergli bene.

Anche involontariamente molte storie di attaccamento prendono questa direzione: e, altrettanto spesso, i genitori “incriminati” hanno l’unica “colpa” di essere stati a loro volta dei bambini perfetti, che non disturbavano, che non avevano bisogni, che non si arrabbiavano, che non si lamentavano. E, senza un lavoro di consapevolezza, penseranno che deve essere così anche per i loro figli, trasmettendolo più o meno involontariamente.

 

2. A volte barattiamo i nostri bisogni con un po’ di “amore”.

 

Non so se hai mai sperimentato qualcosa di simile nel tuo quotidiano: senti di voler fare una determinata cosa che, tra l’altro, ti rende felice e attiva/o. Ad un certo punto il tuo entusiasmo si spegne: la persona a cui tieni di più ti ha lanciato il tacito messaggio che quello che vorresti fare o che senti è sbagliato e che, invece, sarebbe meglio se facessi quella data altra cosa. E tu, per non perdere il suo amore, assecondi la richiesta.

Il tema principale di questo discorso, in poche parole, è un po’ questo: quante volte nella mia vita ho sentito che potevo essere libera/o di fare/dire/sentire tutto quello che volevo? Quanto ho sentito che sarei stata accolta/o e accettata/o anche se l’altro avrebbe voluto da parte mia qualche altra cosa?

A volte “barattiamo” noi stessi per avere un po’ di amore condizionato, è vero. Ma il rischio è, però, quello di perderci e di dimenticarci di un amore ancora più importante: il nostro verso noi stessi.

 

3. Il Falso Sé “protegge”, ma uccide.

 

A lungo andare, il falso sé che il bambino si crea diventa la sua pelle: i suoi bisogni verranno talmente ignorati e dimenticati che l’unico modo possibile di essere sarà quello di indossare una maschera.

E la maschera, tutto sommato, protegge: ti protegge perché, forse, ti permette di non soffrire vivendo nell’illusione. Ti protegge perché ti fa accettare dagli altri e ti garantisce la “protezione” delle persone che ami. Ma a che prezzo?

Forse il prezzo da pagare è quello di rinunciare per sempre a noi stessi, non chiedendoci nemmeno più cosa proviamo o quali sono i nostri veri bisogni e desideri. Si uccide, così, una Persona che, di fatto, non è mai nata, proprio perché non le si dà la possibilità di venire fuori nella naturalezza della sua vera essenza.

 

 

 

CITAZIONE PREFERITA

 

 

Uno dei cardini della terapia è che il paziente arrivi a una comprensione emotiva del fatto che tutto l’<<amore>> che si era conquistato con tanta fatica e a prezzo della rinuncia a esprimere se stesso non riguardava affatto l’individuo che era in realtà: l’ammirazione per la sua bellezza e le sue brillanti prestazioni era tributata alla bellezza e alle prestazioni, non al bambino reale. Dietro la buona prestazione si riaffaccia nella terapia il bambino, piccolo e solo, che si domanda: <<come sarebbe andata se di fronte a voi ci fosse stato un bambino cattivo, rabbioso, brutto, geloso, confuso? Dove sarebbe finito in tal caso tutto il vostro amore? Eppure io ero anche tutto questo”.

 

  

Adesso tocca a te: hai il potere di tenerti addosso la tua maschera o di prenderti il rischio di togliertela, cosa scegli?   

 

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.