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Quando io sono ok e tu sei ok

Imparare l'assertività


Quando entriamo in relazione con gli altri non sempre le cose vanno per il verso giusto.

Incomprensioni e fraintendimenti, delusioni, ambiguità, sensazione di poco valore,  strumentalizzazione e manipolazione, asimmetria.

Non sempre, cioè, quando ti rapporti a chi ti sta accanto hai la possibilità di sentirti ok e di sentire che anche l’altro è ok.

Quante volte hai sentito di essere da meno o di non poter dire di no ad una richiesta anche se non ti andava per niente di assecondarla?

O quante volte, viceversa, hai sentito il bisogno di dominare l’altro, magari pensando di aver ragione o decidendo tu al posto suo perché non lo hai ritenuto capace di gestirsi?

Oppure, quante volte ti relazioni a chi ti sta accanto credendo davvero che entrambi avete pari valore e diritto, o credendo che si possono trovare dei punti di incontro che facciano sentire comodi entrambi?

Tutti noi, ipotizzo, ci siamo trovati almeno una volta in una di queste situazioni e, magari, abbiamo provato dispiacere e senso di colpa per come abbiamo reagito, o ci siamo sentiti impotenti e senza capacità di affermazione o, ancora, abbiamo sentito davvero cosa significa rispettare noi stessi e gli altri.

Tutto questo ha a che vedere con dei precisi “stili di relazione”, che potremmo leggere come dei modi di essere che caratterizzano la nostra comunicazione, ma anche il nostro modo di sentire, pensare e comportarci.

In questo post andremo a vedere quali possono essere questi stili, ma lo faremo focalizzando la nostra attenzione non solo sull’aspetto comunicativo della questione. Infatti, è molto facile pensare che avere uno stile piuttosto che un altro sia una questione di capacità comunicativa: è vero, la comunicazione c’entra ma, nello stesso tempo, sono fermamente convinta che nell’essere passivi, aggressivi o assertivi c’entri tanto altro.

E allora, forza, iniziamo questa riflessione!

 

I diversi modi per essere o non essere ok

 

Ognuno di noi ha il proprio stile, non possiamo negarlo. O, comunque, molti sono alla continua ricerca del loro se non lo hanno ancora trovato: e, in questa ricerca, saranno più portati a prendere una determinata direzione rispetto che un’altra, anche e soprattutto in base alla loro storia di vita.

Detto in altri termini, senza però voler essere troppo riduttiva, se hai sperimentato sulla tua pelle un modello autoritario e aggressivo sarai portata/o a replicarlo nelle tue altre relazioni o, al massimo, a comportarti in maniera passiva e remissiva, andando a rimettere in atto il tuo solito ruolo perchè è l’unico che ti ha permesso di sopravvivere di fronte all’aggressività altrui.

Oppure, scenario migliore, se sei stata/o abituata/o ad essere ascoltata/o, rispettata/o e a sentirti degna/o di valore, magari tenderai a trattare gli altri come sei stata/o trattata/o tu.

Sulla base di ciò, viene da sé che alcune modalità siano più funzionali e adattive di altre e che, quindi, possano essere fonte di frustrazione o benessere a seconda della loro predominanza nelle varie situazioni di vita.  

Parliamo di stili relazionali proprio perché devi immaginarti una sorta di continuum, dove spesso i confini non sono del tutto netti e, in tal senso, possiamo parlare in termini di “propensione” ad essere in un modo piuttosto che in un altro, con livelli diversi di rigidità e cristallizzazione.

Gli stili relazionali che analizzeremo sono quello passivo, quello aggressivo e quello assertivo: ti invito, di nuovo, a non vederli come modalità rigide e “già date” a priori, ma come modi di essere che, in quanto tali, cambiano in base alle situazioni e tendono verso un polo o verso un altro in base alle necessità, pur mantenendo delle caratteristiche ben precise.

Se guardiamo alla questione sulla base del sentirsi o non sentirsi ok, possiamo dire che, nella maggior parte dei casi, avere uno stile passivo determina tutta una serie di vissuti che ti portano a sentire che, di base, tu non sei ok mentre l’altro è sempre più in diritto di te.

Viceversa, lo stile aggressivo ti mette gli “occhiali” della presunzione, facendoti rapportare agli altri con una modalità che passa il messaggio che tu sei ok e gli altri no. Infine, lo stile assertivo è quello che ti fa sentire che hai valore e diritto tanto quanto l’altro.

 

 

Come possiamo ben concludere, il nostro stile è nettamente influenzato dalla stima che abbiamo di noi e, in maniera circolare, questo stesso nostro modo di relazionarci agli altri va a confermare un determinato giudizio di valore che diamo a noi stessi.

Ma, andiamo a vedere questi stili un po’ più da vicino!

 

Stile passivo: chi adotta un comportamento passivo tende a subire, a essere dominato dagli altri. La persona passiva, di solito, rinuncia ai propri diritti proprio perché ha una scarsa valutazione di sé.

Questo la porta a ricercare sempre l’approvazione degli altri e, quindi, a reprimere manifestazioni di dissenso o ad omettere i propri bisogni e sentimenti per la paura di non essere accettata. Infine, rimanda i problemi inventando scuse per sfuggire alle responsabilità, ed evita conflitti o situazioni spiacevoli.

 

Stile aggressivo: chi adotta un comportamento aggressivo tende a imporsi, a dominare e a svalutare gli altri. La persona aggressiva generalizza, usa stereotipi e pregiudizi, manifesta i propri sentimenti attaccando e accusando l’altro, vuole avere sempre ragione e vuole raggiungere i suoi obiettivi ad ogni costo.

Tende, poi, a manipolare l’altro, a scaricare le responsabilità e ad essere indifferente verso i sentimenti altrui. In questo senso, l’obiettivo dell’aggressivo è vincere, come se la relazione fosse una sorta di battaglia dove ci sono vincitori e vinti.

 

Stile assertivo: come vedremo nello specifico più avanti, chi adotta un comportamento assertivo tende, invece, a collaborare, stabilendo relazioni paritarie.

 

Ti metto qui sotto degli schemi che mettono a confronto in maniera più immediata questi 3 stili da un punto di vista strettamente comunicativo per permetterti di riconoscerli nella tua vita:

 

 

Che vuol dire essere assertivi

 

Prendo a prestito la definizione che Francesca Baggio dà di assertività in un libro molto utile per gli addetti ai lavori (“Assertività e training assertivo”), e che definisce questo modo di essere come la “capacità di esprimere in modo chiaro e coerente le proprie emozioni, bisogni, opinioni, senza prevaricare né essere prevaricati”.

Se ci rifletti un attimo, dietro questa definizione sono nascosti tutta una serie di aspetti molto importanti che dovrebbero essere coltivati per la propria crescita personale.

Primo tra tutti, la conoscenza di sé: quando parlo di conoscenza di sé mi riferisco alla consapevolezza di noi stessi non solo in termini di pensiero ma, soprattutto, a livello emozionale.

Se non sono in grado di fermarmi per ascoltarmi davvero non sarò in grado di discriminare cosa sento e quali sono i miei bisogni. E, se non so cosa sento, cosa penso e di cosa ho bisogno, non sarò in grado né di modularlo, né di esprimerlo con assertività.

Altra componente che reputo importante per essere assertivi è la congruenza, cioè l’allineamento tra ciò che sento e ciò che esprimo: come possiamo essere assertivi se tendiamo a nasconderci dietro il nostro dito, ad evitare il confronto per non mostrarci, o a mascherare il nostro sentire pensando che così saremo più accettati dagli altri?

E, di pari passo alla congruenza, arriva l’autostima: non posso permettermi di esprimere me stessa/o in maniera autentica se non ho fiducia nel fatto di poterlo fare. Detto in altre parole, se non mi sento sicura/o, in diritto di esistere e di essere così come sono, è molto difficile che io possa prendermi la briga di espormi e farmi vedere per ciò che sono nel bene e nel male.

Infine, ma non per importanza, l’assertività ha a che vedere anche con l’empatia e il rispetto di noi stessi e degli altri: cioè, chi si rapporta agli altri con assertività è spesso in grado di ascoltare, accogliere e comprendere punti di vista diversi dai propri e di rispettarli, così come fa con i propri. E questo è possibile, di nuovo, solo se si ha una buona stima di sé.

Conseguenza di tutto ciò è, come già detto nel paragrafo precedente, il fatto che la logica non è quella del vincitore e vinto ma, all’opposto, quella della negoziazione: vinciamo insieme in modo paritario, cercando dei punti di incontro o delle soluzioni che facciano stare bene entrambi.

Quindi, per riassumere, l’obiettivo della persona assertiva è cooperare, non sacrificando la propria personalità, ne’ quella dell’altro. La persona assertiva:

 

  • Valorizza sé e l’altro.
  • Esprime i propri bisogni/richieste/sentimenti parlando di sè e non dell’altro.
  • Argomenta in modo esplicito le sue richieste, motiva sulla base di dati e di vincoli obiettivi.
  • Gestisce il conflitto cercando di individuare soluzioni condivise.
  • Esprime disponibilità alla ricerca di soluzioni che soddisfino i diritti/bisogni dell’altro, nel rispetto dei diritti/bisogni propri.
  • Descrive fatti accaduti e si attiene a dati obiettivi.
  • Dice di no in modo non aggressivo, senza attaccare l’altro e motivando in base a dati e fatti.
  • Pur dicendo no lascia aperte alternative o possibilità future.
  • Fissa i propri confini, esplicitando con calma, ma fermamente, limiti personali invalicabili.
  • Si assume la responsabilità dei suoi atti.

 

Imparare l’assertività

 

Benissimo, potresti dirti, ho capito cosa significa essere assertivi: ma, nel concreto, come posso imparare a diventarlo un po’ di più?!

Proprio per le premesse che ti ho fatto prima rispetto alle componenti dell’assertività, dovresti aver capito che dietro uno stile assertivo non c’è solo una mera esecuzione o ripetizione di determinati comportamenti che ti permettono di “apparire assertiva/o”.

Qui la questione è, secondo me, molto più complessa e non può certo essere esaurita con delle facili ricette per diventare assertivi. Potrei, certo, dirti di iniziare a dire di no, di provare a fare delle critiche o dei complimenti, di proporre una tua opinione o idea, di migliorare il tuo modo di fare delle richieste e via dicendo.

Ma, francamente, non credo di poterti essere di qualche aiuto in tal senso, proprio perché prima ancora di mettere in atto questi comportamenti assertivi (in sé sono “giusti”, il punto è che non li potrai mai mettere in atto dal nulla!) è fondamentale che tu faccia un passettino indietro e vada un attimo oltre.

In sostanza, su che cosa puoi lavorare per migliorare la tua assertività?

Inutile ripeterti che se tendi ad essere passiva/o o aggressiva/o o entrambe lo avrai sicuramente imparato dalla tua storia e, quindi, la psicoterapia è la strada principale per lavorare su di te e per vedere da dove arrivano determinati tratti del tuo modo di essere. 

Dato questo per scontato, ti lascio qui qualche spunto di riflessione da cui puoi partire per esercitare in maniera “collaterale” la tua assertività:

 

1. Fai un check dei tuoi comportamenti quotidiani per vedere a quale stile si avvicinano di più, e da dove arrivano.

 

Sulla base delle descrizioni che ti ho dato in questo post, chiediti a che stile assomiglia di più il tuo modo di pensare, parlare, gesticolare, comportarti. Se potessi descriverti da fuori come se guardassi una foto di te stessa/o cosa vedresti in questo momento? Che espressioni, posture, atteggiamenti potresti notare?

Quindi, chiediti da dove arriva il tuo stile: dove hai imparato, per esempio, che gli altri sono più degni di te o che tu hai più importanza degli altri? Oppure, che tipo di risposte ricevevi quando provavi a dire la tua opinione o facevi delle richieste? Come ti sentivi quando provavi a manifestare un disagio o un bisogno? 

Infine, prova a riportare alla mente delle situazioni sociali dove ti sei sentita/o inadeguata/o: che pensieri, emozioni e comportamenti hai adottato? Cosa avresti potuto pensare o fare di diverso in quella situazione? E, viceversa, visualizza anche delle situazioni sociali dove ti sei sentita/o sicura/o e adeguata/o: cosa provavi, quali erano i tuoi pensieri predominanti, come ti sei comportata/o e come hanno reagito gli altri? 

 

2. Ascoltati. 

 

Prova, sempre di più, a fermarti davvero per iniziare a conoscerti. Quali sono i tuoi bisogni profondi? Cosa puoi augurarti di più in questo momento della tua vita? In cosa credi e quanto stai vivendo in funzione di questi valori? 

Impara, poi, ad ascoltare ciò che senti dentro di te senza paura e senza censura: in questo momento sei più serena/o, triste o arrabbiata/o? O, forse, ti senti inadeguata/o, confusa/o, irritata/o? Come puoi modulare le tue emozioni? Come ti puoi prendere cura di te nei momenti di difficoltà emozionale, magari donandoti una coccola che ti aiuti ad accogliere meglio ciò che senti senza, però, farti invadere totalmente dalle tue emozioni? 

Poi, di conseguenza, quali sono i pensieri che noti essere alla base dei tuoi stati d’animo? Sono dei pensieri realistici o sono intrisi di generalizzazioni, assolutizzazioni, catastrofizzazioni? 

 

3. Trova i tuoi diritti. 

Questo punto è strettamente legato alla tua autostima e al valore che dai o non dai a te stessa/o. Quanto ti vuoi bene? Cosa provi per te stessa/o e cosa pensi davvero di te? Se ti dovessi descrivere da fuori come ti vedi? Ciò che vedi corrisponde a ciò che effettivamente sei? 

Quali diritti ti riconosci? Ci sono dei diritti che riconosci solo a te o solo agli altri? Quali diritti senti più validi per te e quali meno validi per la tua vita? E quando parlo di diritti intendo, per esempio, quello di avere dei bisogni, di dire di no, di commettere errori, di chiedere, di essere se stessi e via dicendo. 

 

4. Fai esperienza. 

 

Solo dopo che hai preso contatto con te stessa/o e con la tua storia, prova a fare esperienza partendo da situazioni per te “confortevoli”, cioè che reputi poco minacciose o più sicure da affrontare. 

In questa zona di confort, inizia a sperimentare in maniera graduale cosa senti nel momento in cui provi ad ascoltare empaticamente chi ti sta accanto pensando che avete gli stessi diritti e la stessa importanza. 

Inizia a fare una piccola critica, o a dire di no a delle richieste che ti arrivano nel tuo quotidiano, o ad esprimere il tuo punto di vista. Se può essere più facile per te, parti dal provare a fare e accettare un complimento, o dal porre delle semplici richieste a persone a te vicine dalle quali sei abbastanza sicura/o di non ricevere dei rifiuti. 

Poi, man mano, aumenta il tiro ed estendi questi esperimenti a situazioni sempre più generalizzate e meno confortevoli per te, però sempre rispettandoti e senza forzarti. 

In tutti questi casi, per quanto possibile, tieni a mente che la critica, il rifiuto o l’apprezzamento non deve essere mai rivolta a te o all’altro in quanto Persone, ma solo ed esclusivamente ai comportamenti. Usa il più possibile la prima persona: parla, appunto, di te e dei tuoi vissuti e cerca il più possibile di descrivere i fatti, provando a spiegare come vedi tu una data questione senza andare a generalizzare o dare giudizi di valore. 

 

Eccoci arrivati alla fine di questa breve panoramica sull’assertività: spero di esserti stata in qualche modo di aiuto e, come sempre, ti lascio qualche testo utile se vuoi approfondire il discorso: 

- “Manuale di assertività. Teoria e pratica delle abilità relazionali: alla scopertà di sè e degli altri”, di Roberto Anchisi e Mia Gambotto Dessy. 

- “L'assertività. Vincere quasi sempre con le 3 A”, di Edoardo Giusti e Alberta Testi. 

- “Assertività ed emozioni. Manuale di formazione integrata alla comunicazione efficace”, di Franco Nanetti. 

- “Mi vado bene? Autostima e assertività”, di Michele Giannantonio.

 

 

 

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.