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Quando dire no, a volte, paga

Bambini e limiti


Quando si hanno dei figli cambiano tanto le prospettive.

Potresti ritrovarti a comportarti nell’esatto opposto rispetto a come sei stata/o trattata/o da piccola/o, oppure tenderai a replicare per filo e per segno ciò che hai ricevuto nell’infanzia.

Cosa c’è di male in tutto ciò?

Niente, forse.

E dico forse perché uno dei rischi più grandi della nostra epoca è quello di crescere dei bambini “liberi”, dove per liberi qui intendo senza regole e senza freni.

Forse perché sei cresciuta/o con dei genitori troppo rigidi e con troppe regole, potrebbe succedere che tenderai a non darne proprio ai tuoi: so che pensi che in questo modo fai meglio e dimostrerai così il grande amore che nutri per i tuoi figli, e ti comprendo per questo. Ma la verità è che, molto probabilmente, farai peggio.

Il limite è molto importante per un bambino, soprattutto nel periodo del suo pieno sviluppo. Andiamo a capire perché!

 

Avere dei limiti ti fa esistere

 

Quando pensiamo al limite ci viene subito in mente una sorta di “argine”, uno stop che va a bloccare un qualcosa di “troppo”. E, soprattutto quando un bambino è piccolo, possono capitare continui “straripamenti” che necessitano di essere contenuti.

Immagino che con la testa tu stia andando subito agli innumerevoli episodi di capricci che hai “combattuto” con coraggio: certo, il limite rimanda subito all’idea di arginare un capriccio o un comportamento eccessivo nei nostri bambini, ma non è solo questo.

Quando i bambini sono piccoli non hanno ancora un senso di sé sviluppato: costruiscono la loro identità nel corso del tempo e, soprattutto, attraverso l’interazione affettiva che hanno con i loro adulti di riferimento. Diciamo che l’immagine che hanno di sé e la loro consapevolezza di sé dipende tanto dall’immagine che vedono “riflessa” negli occhi di chi sta loro vicino.

Quindi, se guarderai tuo figlio come un essere speciale, degno di rispetto e amore, probabilmente si sentirà così; viceversa, se lo vedrai come una “testa calda”, solo in grado di dare problemi, è probabile che lo diventerà per davvero.

E’ chiaro che sto estremizzando molto il tutto, ma il mio intento è quello di passarti il messaggio che il tuo bambino costruisce se stesso sulla base di ciò che, in qualche modo, tu gli rimandi di sé.

E cosa c’entra questo con il limite? C’entra perché anche il limite che gli darai gli servirà per strutturare la sua identità e i suoi confini. Nel momento in cui sarai in grado di dargli degli strumenti per contenersi, calmarsi ed essere in grado di distinguere tra ciò che è in suo potere e ciò che non lo è, gli permetterai di costruirsi un senso di “finitudine”.

Tradotto, se tuo figlio avrà l’impressione di poter fare tutto e, molto importante, che tanto tutto ciò che fa è approvato o comunque tollerato, non sarà mai in grado di fermarsi. E, aspetto ancora più importante, sentirà paradossalmente di non contare poi così tanto per te.

Il “si” non è amore incondizionato, anzi. A volte, un “no rispettoso”, motivato ed empatico, passa il messaggio che abbiamo molto a cura la sua vita, anche se apparentemente sembriamo i cattivi della situazione. In realtà, spesso il limite rassicura tanto il bambino, facendogli sentire la sicurezza del trovarsi in un territorio ben definito, e non sconfinato e senza supporti.

Infatti, come il nostro corpo, e in particolare la nostra pelle, rappresenta una sorta di “confine protettivo” tra interno ed esterno, il limite è un importante “confine psicologico” per i bambini, con la funzione di delineare cosa appartiene al bambino ed è possibile, e cosa no.

Questo non vale solo per i capricci o i comportamenti in genere, ma proprio per la nostra esistenza psicologica: sai quante volte mi sento dire qualcosa tipo “non ho mai avuto nessuno che mi stesse dietro per dirmi cosa era giusto e cosa no, e adesso senso che non ho freni, che non mi so calmare quando devo, che non ho un limite”.

Ripeto, tutto questo non c’entra solo con i comportamenti e le marachelle, ma interessa anche la capacità di regolarsi e calmarsi in termini emotivi. Ti è mai capitato di avere degli scatti di rabbia che non sai controllare? O, magari, ti senti invasa/o da una data emozione che non sai minimamente gestire?

Ecco, anche questo significa avere un limite. E, nel periodo molto importante dello sviluppo del tuo bambino, il suo limite devi essere tu.

Devi esserlo sia come limite “fisico”, nel senso di mettere un freno a dei comportamenti inappropriati dicendo qualche no in più, sia e soprattutto come “limite psicologico”, cioè come supporto adeguato nella gestione emotiva e nella strutturazione della sua identità.

Questa operazione è fondamentale per un sano sviluppo psicologico, in quanto, per certi versi, se non ho limiti non esisto.

 

La flessibilità paga sempre

 

Forse potrà sembrarti una riflessione improntata alla rigidità o sostenitrice delle regole a tutti i costi: in realtà, qui il problema non è stare sempre sui binari, possibilmente non fiatare e rispettare sempre le regole. Quello sarebbe un regime autoritario, ed è un’altra cosa.

La riflessione che sto facendo qui con te va da tutt’altra parte: il limite non deve essere messo sempre e comunque, ma deve esserci. Ecco che, allora, diventa importante interiorizzare come genitori il concetto di flessibilità.

I bambini ci mettono alla prova già a partire dai 2/3 anni, e continuano per tutta la vita: con il capriccio, la richiesta eccessiva, la prepotenza e simili “misurano” fin dove possono arrivare e, quindi, sperimentano dove sono situati i loro confini, interni e fisici.

E, se semini bene nell’infanzia, è possibile che tu possa raccogliere qualche frutto in adolescenza, età fondamentale per imparare a “superare i limiti” in maniera consapevole e responsabile. Parlo volutamente di superare i limiti, perché posso superare un limite solo se ce l’ho dentro di me.

L’adolescente è per natura portato a mettere in discussione le regole e superare i limiti, ed è giusto che sia così ma, di nuovo, deve avere una “cornice” all’interno della quale muoversi.

Per farti un esempio, un conto è dire in maniera rigida a un ragazzo di 17 anni di tornare a casa alle 22, altro è dirgli di rientrare ad un orario che sia una “via di mezzo” tra ciò che va bene a lui e ciò che fa sentire comoda/o te. Orario che, però, deve essere rispettato come da accordi.

Anche qui, ci sta quella volta che ci saranno 10 minuti di ritardo “tollerabili”, ma sarà molto diverso dal tornare alle 6 quando si erano concordate le 2, o dal tornare quando mi pare perché tanto nessuno mi ha dato un limite.

E’ chiaro che l’impostazione che si ha con un bambino piccolo è molto diversa da quella nei confronti di un adolescente, ma ti assicuro che sono due aspetti molto collegati tra di loro. Se aiuti il tuo bambino a strutturare la sua identità anche dandogli dei limiti, magari sarà poi lo stesso adolescente che infrangerà le regole e farà “casini”, ma che saprà anche quando fermarsi in tempo.

Ed ecco un altro paradosso: più mettiamo regole rigide e inflessibili più avremo dei figli che, da adolescenti, o saranno portati ad “andare oltre” o saranno repressi. Più ci saranno regole flessibili, coerenti e rispettose della Persona di nostro figlio fin da quanto è piccolo (oltre che di noi stessi!), meno necessità avrà da grande di uscire dai binari in maniera esagerata.

“Deciditi! Prima dici che bisogna dire no e adesso mi stai dicendo che bisogna essere flessibili?”: si, valgono esattamente entrambe le cose. Ok al no e al limite, ma anche ok alla flessibilità, al confronto e al rispetto reciproco. Una cosa non esclude l’altra, la rinforza.

Se tratto mio figlio con rispetto e coerenza, esercitando moltissimo l’ascolto e l’empatia, riuscirò anche a dargli dei limiti e delle regole che gli servano per crescere e per svilupparsi in maniera adeguata.

 

L’angolino della calma

 

In svariati post precedenti ho già trattato i temi della comunicazione tra genitori e figli, della regolazione emotiva e dei capricci, tutti aspetti trasversali al discorso sui limiti.

In questa sede voglio riprendere l’esempio dell’angolino della calma, già trattato brevemente nel post sui capricci. Penso che possa essere un ottimo spunto per gestire sia i momenti di capricci che di disregolazione emotiva in genere, in modo da insegnare il limite ai nostri bambini sin da quando sono piccoli.

Mia figlia, come tutti i bambini di 5 anni, ha iniziato da almeno un anno e mezzo a mettere in discussione certe regole, e non ti nego che capita di assistere a delle vere e proprie scenate (soprattutto alla sera quando è stanca) nel momento in cui riceve un no.

Ha delle vere e proprie crisi di urla e pianto, e le capita anche di colpire qualcosa o di lanciare i suoi giochi. Cosa succede in quei momenti? Beh, a volte mi sono sentita “fallita”, e ho pensato che tutto sommato non stiamo facendo proprio un gran bel lavoro se lei ha dei momenti in cui reagisce in questo modo!

E ti faccio questa confidenza proprio perché vorrei aiutarti a ridimensionare una verità difficile da digerire per noi genitori: se tuo figlio fa i capricci o mostra rabbia non significa che stai facendo male il tuo lavoro.

Ed è proprio qui, nel naturale sviluppo di una specifica fase evolutiva che prevede anche queste crisi, che tu puoi fare la differenza. Se solo accetti di sperimentare anche quel senso di fallimento o di frustrazione che arriva puntuale in questi momenti.

Questo puoi farlo non dandogliela vinta per calmarlo, e nemmeno facendolo sentire incompreso e solo in una valle di lacrime: cosa si può fare, allora?

Intanto, ciò che io faccio sempre è legittimare i suoi sentimenti: cioè, mi metto nei suoi panni, e capisco che per lei è frustrante sentirsi dire che non può fare una cosa che vorrebbe tanto fare. E glielo dico proprio, dando voce alla sua rabbia o all’emozione che sta provando in quel momento. Già così vedi che si blocca un attimo e ti ascolta, perché si sente legittimata e capita.

Poi, ci sono le volte che finisce tutto così con un abbraccio (pur rimanendo il no, attenzione!), e delle altre dove la “posta in gioco” è più alta e, nonostante la comprensione, lei continua ad andare per la sua strada.

Ed ecco che arriva in aiuto il nostro angolino della calma: immaginalo come un piccolo spazio all’interno della sua cameretta (o in qualsiasi altro posto che tu reputi più adatto), dove tuo figlio possa ritirarsi per calmarsi e “riflettere” su quello che è successo. Per esempio, noi ci abbiamo messo dei cuscini e abbiamo appeso un’immagine dell’emozione della rabbia tratta dal cartone “Inside Out”, per delimitare questo suo spazio.

Non devi vederlo come l’angolino del castigo, attenzione! Infatti mio marito all’inizio lo vedeva così, faceva fatica ad usarlo e, quindi, non riusciva a dare un contenimento adeguato a nostra figlia. Immaginalo davvero come una sorta di luogo “speciale” dove il tuo bambino può andare per ritrovare il suo equilibrio.

E’ chiaro che, all’inizio, non sarà da solo: anzi, è molto importante che tu lo accompagni e che gli spieghi che ha la possibilità di stare solo con se stesso, ma che tu sei lì vicino per aiutarlo a calmarsi.

Certo, non ti sto dicendo che sia facile: magari andasse sempre tutto liscio ogni volta che dici “Genoveffa vai nell’angolino della calma”! Quando un bambino è in preda a dei momenti di disregolazione non sempre può farlo: allora è necessario essere fermi, invitandolo ad andare lì a calmarsi con il divieto di uscire fino a che non si sentirà meglio, ma anche con la rassicurazione sul fatto che noi siamo lì con lui.

Di nuovo, non significa costrizione fisica o cose del genere: devi passare al tuo bambino il messaggio che tu sei lì con lui, magari anche continuando a parlargli a distanza con un tono dolce e calmo, ma ribadendo sempre la stessa posizione e, piuttosto, legittimandogli come si sente.

Dai voce senza paura al fatto che ti dispiace vederlo in quello stato e che potrete discutere bene insieme solo se si sarà calmato: tuo figlio deve sentire che lo stai facendo per lui, perché hai a cura il suo benessere, e che gli stai dando quel limite proprio perché gli vuoi bene.

Questo è un concetto che deve essere chiaro soprattutto dentro di te: so che il rischio di cedere perché ci si sente “cattivi” è molto alto, ma ti assicuro che in questo modo non risolvi il problema e non fai il suo bene. In questi casi, invece, dare un limite e insegnarli a contenere una disregolazione emotiva getta le basi per un sano sviluppo futuro, e dà a tuo figlio l’opportunità di gestirsi da solo quando sarà grande.

 

Spero che questi spunti di riflessione ti siano stati utili e, come sempre, ti lascio qualche testo da leggere per approfondire:

- “Genitori efficaci”, di Thomas Gordon.

- “L’educazione emotiva”, di Alberto Pellai.

- “Saper dire di no ai nostri bambini” di Elisabeth Maheu.

- “I no che aiutano a crescere”, di Asha Phillips.

- “L’arte di comunicare con i bambini”, di Suzanne Vallìeres.

 

 

 

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.