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Liber-ando sotto l'albero di Natale

Uno sguardo sui libri che aiutano a "liberare" il tuo potenziale


Il Natale si avvicina, e può essere un buon periodo per fermarsi a leggere o regalare un libro che possa lasciare traccia di sé.

 

 

“Ciò che inferno non è” di Alessandro D’Avenia

 

Questa è la storia di Don Pino Puglisi, il famoso parroco di Brancaccio assassinato dalla mafia.

Ma è anche la storia di un ragazzo, Federico, alunno di Don Pino che si fa tante domande sul senso della sua vita e dell’amore.

Attraverso la narrazione dell’ultimo periodo di vita di Don Pino, vengono presentati degli scorci molto dolorosi di una Palermo “sotterranea”, lontana dallo splendore del centro e dal fasto dei suoi monumenti, aliena rispetto al benessere del ceto medio-borghese.

Ma, paradossalmente, pur parlando di mafia, uccisioni, violenze di vario genere, abusi e crudeltà il testo riesce a spostare mirabilmente la nostra attenzione proprio su ciò che inferno non è.

Un po’ come ha fatto Don Pino quando era in vita, si focalizza sul buono che si può trovare pur stando all’inferno, e sulle grandi lezioni di vita che tutto questo può dare ad un ragazzo figlio della borghesia come Federico.

Il ragazzo, infatti, sceglierà di mollare le sicurezze della “campana di vetro” nella quale vive per abbracciare davvero la strada, i bambini di questa strada e l’amore per una ragazza che in quell’inferno è nata e vissuta.

Un libro che può rivolgersi sia a giovani lettori che a Persone mature, perché ci lascia dei messaggi davvero profondi e importanti sul senso della vita, dell’educazione e del donarsi agli altri in genere.

 

 

3 COSE CHE HO IMPARATO DALLA LETTURA DI QUESTO LIBRO:

 

1. Ami se dedichi il tuo tempo.

 

Uno degli aspetti più belli che mi porto dalla lettura di questo libro è proprio come il tempo sia per l’uomo il bene più prezioso in assoluto e, proprio per questo, può essere usato per dimostrare l’amore. Don Pino Puglisi ha fatto del suo tempo un prezioso dono per i ragazzi che ha cercato di difendere dalla strada di Brancaccio.

Un tempo che ha dedicato in modo gratuito per giocare a calcio con i bambini, visitare le famiglie, essere di sostegno e di sprone per chi era solo e senza risorse. Un tempo che ha speso anche per sorridere agli altri, compreso il sicario che lo ha ucciso.

Allora ciò che mi porto di più come insegnamento è proprio l’importanza di dedicare del tempo alle Persone che amiamo e alle cause che sposiamo, piccole o grandi che siano: forse più che in altri modi, così dimostriamo la cura e l’attenzione verso chi ci sta accanto che solo l’amore può farci avere.

 

2. L’importanza delle cose “semplici”.

 

Altro aspetto importante che mi porto da questa lettura è il potere pazzesco che possono avere dentro di noi i gesti semplici e spontanei.

Di nuovo, Pino Puglisi non faceva teoria e non riempiva di gradi parole le sue omelie: insegnava il Vangelo non spiegandolo, ma vivendolo nei piccoli gesti di ogni giorno. Spiegava in dialetto concetti complessi rendendoli semplici ai bambini di cui aveva cura, elargiva sorrisi e abbracci, invece che consigli dall’alto del suo pulpito.

L’importanza delle cose semplici, dei gesti semplici, delle parole semplici: ciò che, forse, qualcuno potrebbe leggere come ignoranza diventa, qui, una grande ricchezza.

 

3. La fiducia nell’altro come “scommessa”.

 

Nel momento in cui Federico verrà aggredito e picchiato dai ragazzini del luogo perché visto come “intruso” un po’ con la puzza sotto il naso, la sua prima reazione sarà quella di vedere quei bambini come dei “selvaggi” ignoranti e senza futuro, e di scappare lontano da quel posto infernale.

Questo personaggio farà, poi, un’evoluzione molto importante che lo porterà ad andare oltre l’apparenza delle cose e delle azioni per cercare ciò che di buono si nasconde anche nell’inferno più profondo, e che esiste già in potenza.

In questo senso, un altro messaggio importante è proprio quello di approcciarsi all’Altro con fiducia, guardandolo come Persona unica e degna di rispetto non per quello che fa, ma perché esiste.

Questo apre ad una dimensione di fiducia che “scommette” sull’Altro e, quindi, gli permette di credere in se stesso perché c’è qualcuno che lo fa già prima di lui e nonostante tutto. Non a caso, educare significa “portare fuori” qualcosa che è già dentro in potenza, e Don Pino Puglisi ha donato la sua vita per questo.

 

Citazione preferita

 

“Hai ragione, è troppo pericoloso. Ma non è tutto inferno. L’inferno, come dice Don Pino, è quando non si può più amare, quando non si può più dare qualcosa di sé e ricevere qualcosa dagli altri. Questo è ancora possibile”

 

 

 

“Guarsci te stesso” di Saki Santorelli

 

Posso definire questo libro una testimonianza: la testimonianza di un uomo, Saki Santorelli, che ogni giorno si mette al servizio degli altri insegnando loro a praticare l’arte della Mindfulness.

E’ una testimonianza perché la narrazione è molto intima, intrisa di riflessioni personali e di storie di vita vissuta dai diversi pazienti che hanno aderito ad uno dei programmi di 8 settimane proposto dalla Clinica per la riduzione dello stress nel Massachusetts.

Non si presenta né come un manuale teorico, né come un testo pratico per imparare la Mindfulnes ma, paradossalmente, è anche queste due cose: attraverso le riflessioni proposte, le testimonianze dell’autore e dei vari pazienti si può assaporare davvero il grande potere trasformativo di questa forma di meditazione.

E, tema fondamentale presente in tutto il libro, arriva in maniera chiara da parte dell’autore l’invito a guardare in faccia le proprie ferite e a prenderle in braccio condividendole con gli altri: è qui, forse, il potere curativo insito nel vivere momento dopo momento tutto quello che ci arriva da dentro e fuori di noi.

 

3 COSE CHE HO IMPARATO DALLA LETTURA DI QUESTO LIBRO:

 

1. Non puoi guarire se non accetti di essere ferito.

 

Uno dei temi fondamentali del libro è in sostanza quello di avere il coraggio di guardare in faccia le proprie ombre e le proprie ferite: solo nel momento in cui smettiamo di mettere la testa sotto la sabbia, di negare di stare male, possiamo iniziare a guarire.

E qui guarire non significa per forza smettere di soffrire, ma vuol dire imparare a prendersi cura delle proprie ferite, a medicarle, a dare loro quel balsamo di speranza e forza che, in apparenza, non hanno.

Allora, come dice Santorelli, il primo passo di ogni percorso verso l’accettazione di sé passa in primis dall’accettazione della propria ferita, dall’ammettere a se stessi di essere lacerati. E, poi, dal non voltarsi più dall’altra parte.

 

2. La metafora del guaritore ferito.

 

Altro aspetto molto importante che riapprendo dalla lettura del testo è quanto sia importante per chi svolge una professione di aiuto riconoscere le proprie ferite: ciò che “guarisce” non ha nulla a che vedere con un ruolo o una competenza ma, paradossalmente, ha tanto a che fare con la possibilità di sentirsi feriti e di vivere senza paura questa dimensione.

Solo in questo modo si potranno avvicinare le ferite degli altri, creando una connessione e un’intimità che fa sentire l’altro compreso, sostenuto e accettato soprattutto nelle sue ombre. Ombre che il “guaritore” può salutare e riconoscere proprio perché sono anche le sue.

 

3. L’importanza della condivisione.

 

Un ultimo apprendimento che mi porto dietro da questa lettura è l’importanza dell’essere insieme. Il programma proposto ai partecipanti è, sì, carico di silenzio e raccoglimento ma si tratta di un incontro con se stessi che avviene grazie e attraverso la vicinanza dell’altro.

Vicinanza fatta, magari, di poche parole, di gesti, di sguardi, di contatto fisico: una vicinanza che accompagna il proprio viaggio interiore e, forse, lo permette proprio perché non ci si sente da soli a percorrerlo.

 

Citazione preferita

 

“Quando sono disposto a stare con questa turbolenza senza alcun obiettivo, essendo paziente con me stesso e con l’immobilità della situazione, la giusta azione sorge spontaneamente. In quei momenti il respiro e il nostro essere disposti a stare fermi e in silenzio sono le ancore e gli alleati più utili”

 

 

 

“Cambio vita in sei comode lezioni”, di Richard Wiseman.

 

Il titolo promette mari e monti, lo so! E, forse, qui l’errore è proprio quello di leggerlo credendo che ci possa dare delle “dritte veloci” per cambiare vita in 6 lezioni. Devo dire che questo titolo tre abbastanza in inganno: non perchè il testo non sia valido, ma perché potrebbe darti un’idea completamente sbagliata di cosa voglia dire cambiare vita.

Il testo è, appunto, diviso in 6 capitoli che affrontano ognuno un aspetto specifico legato al mondo della crescita personale: la felicità, l’amore, il benessere mentale, la forza di volontà, la persuasione e l’immagine di sé. Per ogni capitolo l’autore ci riempie di esempi pratici, oltre che di molte ricerche in ambito psicologico per sostenere una tesi che è, poi, il fulcro di tutto il libro: se vuoi cambiare, parti dal comportamento.

Detto in altri termini, Wiseman non ci dà delle indicazioni concrete su come cambiare nella nostra vita ma, attraverso i vari esempi tratti dal mondo della ricerca e anche grazie agli esercizi pratici presenti in ogni capitolo, ci lascia degli ottimi spunti di riflessione per iniziare un cambiamento.

Non condivido del tutto il principio del “come se”, ma ne riconosco certamente l’utilità in certi ambiti di vita: il messaggio fondamentale che l’autore ci vuole lasciare è che se iniziamo a comportarci da subito come se avessimo già realizzato un dato cambiamento, questo cambiamento arriverà quasi in automatico nella nostra vita.

Non parliamo, cioè, di operazioni di messa in discussione “mentale” ed emotiva di ciò che siamo e della nostra storia, ma proprio di azione diretta e pratica. Si e no, ti dico io. O meglio, dipende.

 

 

3 COSE CHE HO IMPARATO DALLA LETTURA DI QUESTO LIBRO:

 

1. Impara a trovare il significato utile per te.

 

Proprio a partire da questo titolo “furbetto”, la lettura del libro mi ha insegnato ancora di più ad approcciarmi a ciò che leggo con un senso di autonomia e “centratura”. Centratura proprio nel senso di trarre il meglio sulla base dei miei vissuti e di ciò che è utile per me, non seguendo dettami assoluti o generalizzati.

Chiedersi sempre qual è il senso per noi stessi ci aiuta non solo ad ascoltarci davvero, ma a “calare” nella nostra vita in maniera personale e unica ciò che ci arriva da fuori.

 

2. L’importanza di agire.

 

Anche se ho delle perplessità rispetto ad alcune tesi del libro, penso anche che molte volte l’azione possa essere più utile di mille riflessioni o parole vane.

Spesso, non so se condividi, ci crogioliamo per ore (se non per anni) dentro ciò che vorremmo cambiare, andando magari a soppesare pro e contro, facendo liste/elenchi/ipotesi e chi ne ha più ne metta. Così, però, finiamo per non agire mai aspettando tempi migliori.

Questo libro mi fa apprendere, invece, l’importanza del provare e del “buttarsi” anche se non siamo del tutto pronti, anche se non siamo proprio del tutto convinti. Perché è solo dall’esperienza concreta che, alla fine, possiamo imparare qualcosa nel bene e nel male.

 

3. Sorridi “come se”.

 

L’autore sostiene strenuamente che il cambiamento può arrivare solo nel momento in cui ci comportiamo come se fosse già presente nella nostra vita. E, per certi versi, in alcune situazioni credo che questa cosa sia molto vera, soprattutto per tutta quella sfera che ha a che fare con le relazioni.

L’apertura all’altro, il sorriso, la naturalezza sono aspetti che, in certo senso, possono essere “allenati”: cioè, se provo a sorridere anche se non ho un motivo per farlo, quel sorriso “forzato” mi fa sentire meglio (questo lo dice la ricerca!). Oppure se mi comporto con gli altri come se fossi gentile e aperta nei loro confronti, questo comportamento mi permetterà di fare una data esperienza e le mie relazioni, forse, saranno più fluide.

Non sempre tutto questo è facile, perché spesso prevalgono l’angoscia, la tristezza, l’isolamento più totali: e capisco molto bene le possibili obiezioni a questa visione abbastanza “meccanicistica” delle cose dove ad un’azione corrisponde una reazione. Ma, se ti sforzi per un attimo di calare questa cosa nella tua esperienza, potresti accorgerti che un fondo di verità c’è.

Questo non significa di sorridere sempre e comunque anche quando hai solo motivi per piangere, ma significa provare a percorrere una strada “alternativa” quando senti che può essere percorribile per te: questo potrebbe significare abbozzare un sorriso dopo che hai pianto? Si, perché in questo modo dai pari legittimità a due vissuti che, invece di farsi la guerra ed essere agli antipodi, possono forse incontrarsi ed armonizzarsi.

 

 

Citazione preferita

 

“Più di un secolo fa, William James teorizzò che il comportamento provocasse le emozioni. Era un’idea semplice che rivoluzionò ogni cosa. Cent’anni di ricerche dimostrano che la teoria di James è applicabile a un’ampia gamma di fenomeni psicologici, dalla persuasione alla procrastinazione, dalla paura alle fobie, dalla passione alla personalità”

 

 

 

 

 

 

  

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.