Alzare e abbassare con fluidità il nostro volume interiore

Immagina di trovarti in casa durante un sabato mattina piovoso: ti senti annoiata/o e senza alcuna voglia, e stai sul divano cercando qualcosa da fare senza successo.
All’improvviso decidi di accendere la radio e, nel momento in cui capita una canzone che ti piace, alzi quasi senza accorgertene il volume e la musica che senti ti dà un senso di benessere.
Viceversa, hai mal di testa e sei molto stanca/o dopo una giornata di lavoro e ti rendi conto che tuo figlio sta guardando la tv ad un volume troppo alto.
Di conseguenza, gli chiedi di abbassare il volume perché così alto ti disturba.
Questi sono due banalissimi esempi del concetto di regolazione. Uso spesso la metafora della radio per far capire ai miei pazienti cosa vuol dire regolare le proprie emozioni: è qualcosa di molto vicino all’alzare o abbassare la nostra “radio interiore” in base a ciò di cui abbiamo bisogno in un dato momento.
Ma, per fare questo, è necessario essere consapevoli di quali sono i nostri bisogni, riconoscere se il volume è troppo alto o troppo basso e, soprattutto, avere la forza di fare un’azione per modificare questo volume rendendolo più vicino a ciò di cui abbiamo bisogno.
Andiamo, perciò, a vedere più da vicino che cos’è la regolazione emotiva e in cosa consiste.
Che cos’è la regolazione emotiva
Se andiamo a cercare sul vocabolario la parola regolazione troviamo questa definizione: << intervento su fatti, fenomeni, processi naturali per modificarne o disciplinarne le condizioni o lo svolgimento, in base a determinate esigenze >>.
Da questa definizione possiamo iniziare a trarre alcuni apprendimenti sul tema della regolazione emotiva.
Prima di tutto possiamo dire che regolare le proprie emozioni ha a che vedere con un’azione attiva, più o meno consapevole, che facciamo in un dato momento in risposta ad una situazione-stimolo interna o esterna.
A cosa serve quest’azione? Detto in breve, a modificare qualcosa. In tema di emozioni più che modificare potremmo usare la parola “armonizzare”, ovvero intervenire sulle nostre emozioni per renderle un po’ più armoniche rispetto a noi stessi e al nostro contesto.
E, come ho detto all’inizio del post, si è in armonia quando riusciamo a regolare il volume della nostra radio in maniera coerente rispetto ai nostri bisogni e alle esigenze della situazione in genere.
Andando avanti, poi, la definizione parla di disciplinare delle condizioni o uno svolgimento. Tradotto in termini emotivi, questo può voler dire che quando regoliamo le nostre emozioni possiamo intervenire sia a livello di attivazione che a livello di reazione.
L’attivazione emotiva ha a che vedere con come noi “sentiamo” le nostre emozioni, ed è molto collegata con una sorta di dotazione di base con cui nasciamo. Questa “dotazione” può determinare una vulnerabilità emotiva più o meno pronunciata, che vuol dire quanto di base siamo “sensibili” alle emozioni e ci attiviamo (emotivamente parlando) alla minima o, viceversa, quanto facciamo fatica ad attivarci emotivamente.
La reazione, invece, ha a che vedere con la risposta che generiamo in conseguenza dell’attivazione. Questo significa che potremmo avere un buon livello di attivazione (né troppo né troppo poco), ma poi fare fatica in termini di reazione, oppure essere più vulnerabili emotivamente e avere delle difficoltà in termini di attivazione.
La reazione è più collegata all’ambiente e a ciò che respiriamo fin da quando siamo piccoli, ai nostri apprendimenti nel tempo che modellano poi quella che è la nostra dotazione di base. Vediamo, quindi, come questa “dotazione di base” andrà poi a mischiarsi con ciò che apprendiamo dal contesto in cui nasciamo e come le abilità di regolazione vengono anche in un certo senso “apprese”.
E sai qual è la notizia del secolo? Anche con la regolazione emotiva c’entra l’attaccamento e le relazioni che instauriamo da piccoli con le nostre figure di riferimento. Questa volta pensavi che non avremmo parlato di origini, relazioni affettive e attaccamento, ma mi spiace deluderti!
Attaccamento e regolazione emotiva
Immagina un bimbo piccolo che non sa ancora parlare e piange disperato perché infastidito da qualcosa, magari qualche colichetta. La mamma lo prende in braccio cullandolo e gli dice qualcosa del tipo: << povero piccolo hai male al pancino? Non ti preoccupare adesso passa, la mamma è qui con te! >>.
Oppure, facciamo che quel bambino è cresciuto un po’ e lo vediamo giocare con un suo amichetto. Il trenino a cui teneva così tanto viene rotto per sbaglio dall’altro bambino e lui scoppia a piangere stringendo le mani a pugno. La mamma si avvicina e gli dice: << mi dispiace molto per il tuo trenino e capisco che tu sia triste e arrabbiato perché si è rotto. Adesso vediamo se possiamo ripararlo >>.
Cosa è successo in queste due scene? La mamma ha regolato l’esperienza emozionale del figlio.
E qui arriviamo al punto finale che ho trattato nel paragrafo precedente: quando siamo piccoli siamo un groviglio di emozioni non ben identificate che passano per lo più dal corpo e dalle sensazioni più o meno piacevoli che proviamo a questo livello.
Abbiamo bisogno di un “allenatore” esterno che ci aiuti a sbrogliare la matassa e ci insegni, poi, a farlo da soli. In questi esempi la mamma si è “sintonizzata” con la stazione radio del figlio e poi ha regolato il volume al suo posto finchè poi lui, crescendo, non imparerà a farlo da solo seguendo l’esempio della sua mamma.
Come avviene questo “miracolo”? Attraverso la sintonizzazione, cioè un meccanismo tramite il quale la madre legge e traduce i messaggi emotivi che arrivano dal suo figlioletto e gli fa da specchio, rimandandoglieli in qualche modo elaborati.
Il sistema dell’attaccamento promuove la sintonizzazione emotiva tra genitore e figlio: quando le relazioni sono sintonizzate, il piccolo sente che il genitore percepisce ciò che egli prova, e ne ricava un senso di stabilità, sicurezza e accoglimento empatico.
Nel corso del tempo, questa comunicazione sintonizzata permette al piccolo di sviluppare i circuiti di regolazione del cervello: questo è collegato ad una scoperta molto importante fatta ormai quasi 20 anni fa, cioè quella dei neuroni specchio. Si ipotizza, infatti, che la risposta empatica della mamma al bambino venga da quest’ultimo automaticamente “simulata” grazie ai neuroni specchio: in questo modo è come se egli trovasse se stesso nella mente della sua mamma.
E, a furia di fare questa esperienza, imparerà poi a farlo da solo. Potremmo dire, quindi, che l’integrazione neurale è il prodotto della capacità di autoregolazione e della regolazione attraverso la relazione con l’altro, due competenze entrambe necessarie e complementari.
Purtroppo, però, le cose non vanno sempre così lisce: non è detto, infatti, che le nostre figure di attaccamento siano in grado di sintonizzarsi con noi e che sappiano regolare le nostre emozioni, perché a loro volta non l’hanno imparato. Morale della storia, impariamo anche la dis-regolazione dalla dis-regolazione altrui, lo vedremo negli articoli successivi.
Quello che è importante comprendere adesso è che la mente si forma nell’interazione tra l’esperienza interpersonale e la nostra “dotazione di base”: sono i rapporti con gli altri e con le figure che si prendono cura del bambino nei primi anni di vita che favoriscono o inibiscono l’organizzazione dei suoi circuiti cerebrali.
Uno studioso molto importante chiamato Daniel Siegel circa 25 anni fa ci ha dimostrato che le esperienze sociali e relazionali attivano circuiti neurali che modificano la struttura cerebrale, modulando a loro volta le emozioni.
Detto in altri termini, le relazioni interpersonali significative possono favorire o meno lo sviluppo e l’apprendimento di nuove capacità di organizzare il sé, compresa quella emotiva.
Le esperienze interpersonali, in questo senso, plasmano le strutture e le funzioni del cervello da cui emerge la mente: quindi, nel rapporto con il genitore il bambino impara a riconoscere e a organizzare la sua vita interiore e il suo modo di percepire il mondo.
E quali sono le componenti della regolazione emotiva che il bambino acquisisce nell’interazione?
Le componenti della regolazione emotiva
Ormai più di 20 anni fa Daniel Goleman ha parlato di Intellienza Emotiva. Con questo termine facciamo riferimento alla consapevolezza dei propri stati emotivi e alla loro accettazione, alla capacità di individuare le emozioni altrui sulla base dei vari indizi espressivi, alla competenza linguistica in campo emotivo, alla capacità di regolare la propria esperienza emotiva, alla capacità di coinvolgimento empatico nelle esperienze emotive altrui.
E se facciamo uno zoom sul concetto di Intelligenza Emotiva andandoci a focalizzare solo sulla regolazione potremmo concludere che sia la capacità di controllare o influenzare le emozioni e anche il modo con cui si vivono e si esprimono, con il fine di ridurre la sofferenza emotiva.
La regolazione emotiva ha diverse componenti:
1. Consapevolezza e comprensione delle emozioni.
Questo punto è il primo step dell’intelligenza emotiva prima e della regolazione poi, in quanto ci permette di riconoscere e identificare le emozioni dando lo un nome, oltre a comprendere da dove arrivano e perché.
2. Accettazione di tutte le emozioni, organizzandole in vista di un obiettivo.
Qui intendiamo il termine accettazione come una sorta di “atteggiamento mindfull”, cioè una disposizione interiore a vivere tutta la nostra sfera emotiva senza censure o blocchi, in maniera armonica. Attraversare le nostre emozioni senza blocchi ci permette, poi, di dirigerle in vista di un obiettivo.
Come abbiamo visto il mese scorso, le emozioni sono un motore, ci smuovono indirizzando anche i nostri comportamenti e le nostre azioni. Ecco che, proprio per questo motivo, un atteggiamento aperto verso le nostre emozioni ci permette poi anche di “usarle” per dirigere in modo funzionale il nostro agire.
3. Capacità di controllare le emozioni forti rimanendo focalizzati e inibendo impulsi/comportamenti inadeguati.
Un’altra sfaccettatura della regolazione emotiva è proprio quella di imparare a calmarsi, cercando di diminuire l’impatto che certe emozioni forti hanno dentro e fuori da noi.
Questo significa anche cambiare le nostre risposte emotive: lungi da me il sostenere di imporsi di non provare certe emozioni o sostituirle con altre, sia ben chiaro! Quando parlo di cambiare le risposte emotive mi riferisco al fatto di riuscire a canalizzare nel miglior modo possibile un’emozione.
Detto in altro modo, se sei furiosa/o perché ti hanno rigato la macchina nuova, cambiare la tua emozione non vuol dire provare, in tal caso, gioia se sei arrabbiata/o, ma usare la rabbia che senti dentro nella maniera più adattiva possibile.
Non andrai, quindi, a rigare altre macchine per sfogarti, ma proverai a fare dei respiri profondi attraversando la tua rabbia e mostrandoti empatia per come ti senti: magari in questo modo scoprirai che sotto la rabbia si nasconde tristezza per come vanno le cose al mondo, o preoccupazione per ciò che dovrai spendere per ripararla proprio in questo momento che fai un po’ fatica, e via dicendo.
4. Capacità di utilizzare strategie di regolazione emotiva flessibili e adatte al contesto.
Un po’ in linea con il punto precedente, usare strategie di regolazione flessibili vuol dire essere in grado di gestire tutta la gamma emotiva che vivi in maniera non rigida, ma valutando di volta in volta la situazione.
Questo significa anche avere un atteggiamento di apertura verso le nostre emozioni, di qualsiasi natura siano: un po’ come se dicessi alla tua emozione <<vieni, sei la benvenuta sempre e comunque>>. Ma puoi parlarti così solo nel momento in cui hai un senso di padronanza, cioè senti che con quella data emozione ci puoi stare e la puoi regolare in maniera anche creativa sul momento.
Viceversa, spesso abbiamo paura di certe emozioni e cerchiamo di evitarle in tutti i modi possibili: e qui mi riferisco in particolare alla rabbia da un lato, o alla tristezza dall’altro … come se temessimo di esserne totalmente soggiogati e non sapessimo, poi, come venirne fuori.
Imparare a gestire una tempesta emotiva o un deserto emotivo ti dà, invece, un senso di sicurezza e padronanza che, in un circolo virtuoso, ti permette di rimanere aperta/o a tutta la sfera della tua esperienza emotiva.
Nei mesi successivi andremo ad approfondire più nel dettaglio in cosa potrebbero consistere queste strategie e come puoi coltivare l’intelligenza emotiva e la regolazione nel tuo quotidiano.
Nel frattempo ti lascio come sempre qualche titolo utile se vuoi saperne di più:
“Restare in piedi tra le onde” di Gennaro Romagnoli.
“Attraversare le emozioni. Vol. 1: Neuroscienze e psicologia dello sviluppo” di D. Fosha, D. Siegel e M. Solomon.
“Esserci. Come la presenza dei genitori influisce sullo sviluppo dei bambini” di D. Siegel e T. Bryson.
“Crisi tempestose. Gestire le emozioni e ritrovare la serenità” di F. Carbone.
“Nella mente degli altri. Neuroni specchio e comportamento sociale” di G. Rizzolatti e L. Vozza.
Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.