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Quando dire addio fa male

Il lutto e la sua elaborazione


Oggi voglio parlarti di un argomento forse un po’ scomodo, proprio perché spesso tendiamo ad allontanare dalla nostra vita ciò che è difficile da tollerare.

Sto parlando del lutto e del processo della sua elaborazione. Siamo per natura portati a stare alla larga da situazioni e pensieri che richiamano l’idea di morte e di perdita in genere: due dimensioni non sempre facili da accettare.

Queste due dimensioni ci mettono davanti al fatto che le cose e i legami non sono eterni e ci ricordano anche che, inevitabilmente, un giorno noi e i nostri cari non ci saremo più. Quanto è difficile per te accettare questa cosa?

Quanto ti difendi, di fatto, pensando subito che questo non è il momento per occuparti di tutto ciò e avrai tempo per farlo?

I discorsi sulla morte possono sembrare, in prima battuta, sconvenienti e inutilmente tristi: se, in realtà, impari a fare i conti con l’idea che nulla è eterno forse, quasi per magia, inizierai a goderti di più la vita. Anche perché, se ci pensi, dietro al concetto di lutto non c’è solo quello di morte in senso stretto.

Fai un lutto quando divorzi, quando cambi città, quando chiudi una relazione di amicizia, quando cambi lavoro: tutto ciò che rappresenta una perdita a diversi livelli presuppone un lutto.

 

Le dimensioni della perdita

 

Se guardiamo l’etimologia della parola, lutto viene dal latino lugere e significa piangere. Il lutto può essere, quindi, considerato la reazione ad una perdita e al cambiamento che ne consegue. La perdita investe le nostre vite a più livelli, e anche le nostre reazioni di “pianto” (lutto) possono essere più o meno importanti proprio a seconda dei casi.

Ci possono essere perdite interiori, magari legate alla perdita di motivazione, libertà, privacy, amore, speranza, dignità (pensa ai campi di concentramento, per esempio). Esistono, poi, perdite affettive, come le separazioni o la fine di una relazione amicale. Abbiamo anche perdite geografiche, come quella della casa, della lingua o della terra in chi è costretto ad emigrare.

Ancora, perdite professionali, come un licenziamento, un trasferimento o un cambio di ruolo. Non meno importanti le perdite legate alla salute, come quelle dovute a malattie invalidanti, al decadimento fisico legato all’età, o perdite connesse alla dimensione dell’autonomia a seguito di infortuni. Infine, ci possono essere anche perdite legate ai propri sogni, come quello di avere un bambino, o di essere amati dalla persona che ci piace, o di realizzarci in una nostra passione. 

Ti dico questo per lasciarti il messaggio che il processo del lutto, seppur direttamente collegato a quello della morte, non si attiva soltanto quando viene a mancare una persona a te cara. Potremmo meglio specificare che, in tutti questi casi, è più esatto parlare di cordoglio: anche questo termine deriva dal latino (cor-dolium) e significa “cuore che duole”.

In questo senso, il cordoglio può essere inteso come il travaglio interiore sperimentato da chi vive una perdita e, perciò, possiamo dire che dentro il lutto c’è anche il cordoglio. E se il lutto può essere più strettamente legato ad un processo di reazione ad una perdita causato dalla morte, il cordoglio rappresenta la naturale reazione umana di fronte alla perdita in genere.

 

Il lutto è normale?

 

Viene da chiedersi, a questo punto, se il lutto sia un qualcosa di “normale” o se rappresenti una manifestazione “patologica” di un modo di reagire ad una perdita. Ti dico che, paradossalmente, la vera patologia si può riscontrare proprio in chi un lutto non lo sperimenta proprio.

Non so se ti è capitato, ma forse avrai avuto modo di conoscere persone che subiscono delle perdite a vario titolo e che continuano a vivere come se niente sia successo. Probabilmente, questo è anche un qualcosa per cui si vantano: beh, in realtà non è proprio così … anzi la ferita di un lutto non elaborato scava dei solchi profondi che, prima o poi, dovranno essere affrontati.

Detto questo, possiamo dire che esiste una sorta di lutto “normale” e fisiologico, e un lutto patologico. Non mi addentro, come sempre, nei meandri delle spiegazioni in psicologese perché, come avrai capito se mi segui da un po’, non è questo l’intento del post e del mio blog in genere. Ti basti sapere che di fronte ad una perdita si verificano delle reazioni assolutamente normali: reazioni che smettono di essere fisiologiche e adattive quando “bloccano” tutta la tua vita.

 

Se ti è capitato di subire una perdita è molto probabile che tu riesca a riconoscere dentro di te come questa sofferenza si può manifestare. Il lutto coinvolge, infatti, componenti somatiche, cognitive, emotive e anche spirituali.

Non siamo né solo corpo, né solo mente, né solo spirito e, per questo, quando perdi qualcosa o qualcuno di molto importante per te si verificano dentro di te delle reazioni di varia natura, che investono la tua persona in toto. Parliamo di una sorta di depressione generale, proprio nel senso di “diminuzione”: diminuzione sul fronte fisico, emotivo, cognitivo, motivazionale, relazionale.

Quando sperimenti un lutto potresti, infatti, sentirti spossata/o e stanca/o, avere difficoltà a mangiare e dormire, difficoltà a concentrarti e a pensare lucidamente. Potresti accusare dei sintomi fisici legati, magari, all’apparato gastrico o a quello cardiovascolare, o avere delle manifestazioni di mal di testa o senso di svenimento inusuali.

Da un punto di vista emotivo potresti sperimentare delle reazioni molto simili a quelle di un disturbo depressivo: tristezza, angoscia, colpa, solitudine. Ma potresti anche provare collera, agitazione, ansia, rabbia o paura.

Da un punto di vista cognitivo potresti pensare che la colpa è la tua, che non hai fatto abbastanza per prevenire quella perdita, che quando avevi il privilegio di stare accanto a quella persona o di godere di quella posizione non hai saputo prenderne il meglio. Potresti ruminare su cosa si poteva fare e non si è fatto, sul perché non hai capito quello che stava succedendo, sul tuo ruolo nella faccenda.

Inoltre, spesso una perdita sconvolge gli equilibri personali e sociali: entrano in gioco dei cambiamenti più o meno forzati che incidono sui tuoi rapporti familiari e sociali in genere, sul tuo status socio-economico e sulla tua “posizione nel mondo”.

Fin qui tutto ok (si fa per dire …): queste reazioni che ti ho brevemente elencato possono essere considerate fisiologiche di fronte ad una perdita, e di solito tendono pian piano ad affievolirsi dopo circa 12 mesi. Prendi questa indicazione temporale con le pinze: in primis perché siamo esseri unici e, in quanto tali, saranno anche unici i nostri tempi di reazione al dolore.

Inoltre, su questo punto le ricerche danno informazioni contrastanti e ci sono autori che dicono che per un’adeguata elaborazione del lutto occorrono dai 2 ai 3 anni. Di nuovo, le variabili in gioco sono tante e credo sia molto più sensato basarsi sulla propria esperienza e i propri vissuti, invece di immaginare di avere una “data di scadenza” dopo la quale tutto passa.

Non a caso, il processo di elaborazione del lutto viene definito in termini specialistici “lavoro del lutto” e, proprio per questo, è un processo che richiede una qualche forma di investimento e fatica per essere portato a termine. E, si sa, quando fai un lavoro entrano in gioco le tue risorse, la tua capacità di fronteggiare le avversità, la motivazione e le abitudini: tutti aspetti che possono incentivare o rallentare il processo stesso.

 

Quando, invece, il lutto diventa “patologico”? Mi viene da rispondere che non è più fisiologico quando senti che non riesci ad uscirne, quando la tristezza e il dispiacere per la tua perdita invadono a 360° la tua vita e non ti permettono di adattarti pienamente al tuo ambiente, di progettare e costruire la tua vita giorno dopo giorno.

Hai una difficoltà quando senti che senza quella persona nulla ha senso e questa sensazione inizia ad accompagnarti per anni, facendoti perdere energia, interesse per la vita e significato. Probabilmente il processo del lutto non si è svolto in modo adeguato e ti sei “inceppata/o”, restando ferma/o sulla tua perdita.

 

Il processo di elaborazione del lutto

 

Il lutto è un processo e, in quanto tale, devi immaginartelo come una fisarmonica: il suo percorso non è lineare e uniforme, infatti potresti andare avanti nell’elaborazione per poi, magari, fermarti o tornare indietro per un po’. Convenzionalmente, possiamo rintracciare una serie di fasi nell’elaborazione del lutto: non sono fasi che si susseguono in maniera così netta e sequenziale, ed è molto frequente passare da una all’altra anche in maniera repentina.

Ci sono diverse teorizzazioni in merito al processo di elaborazione del lutto e alle sue fasi, e sommariamente si assomigliano. Io scelgo di riferirmi a quella di Elisabeth Kuble-Ross, una nota psicologa che ha dedicato la sua vita al sostegno psicologico dei malati terminali e ha scritto diversi testi in merito. Le fasi che lei descrive nascono, quindi, per spiegare le reazioni di malati e familiari all’evento cancro, ma possono essere attuali e applicabili anche alle altre forme di perdita.

 

La prima fase che possiamo sperimentare è quella del rifiuto: vivi come una sorta di stordimento, e non sei nemmeno così sicura/o che l’evento stia accadendo davvero o se sia solo un brutto sogno. Questa reazione è, in qualche modo, “protettiva” per la persona perché, almeno in un primo momento, l’aiuta a prendere le distanze dall’evento traumatico.

La seconda fase è quella della collera: provi grandi emozioni di rabbia, ti chiedi perché deve succedere proprio a te, non sopporti di vedere che le altre persone sono felici e non vivono il tuo dolore. Questa fase è molto delicata e il rischio è proprio quello di restarne intrappolati.

Anche stare vicino a chi vive questa fase può essere complicato: la persona in lutto potrebbe riversare tutta la sua rabbia contro chi tenta di darle sostegno, con il rischio di venire isolata. E’ molto importante, invece, che le persone vicine manifestino il proprio supporto e che accolgano la rabbia nonostante tutto.

Terzo faticoso scalino è quello del patteggiamento: dopo aver espresso in maniera più o meno forte tutta la rabbia e il risentimento possibili, arriva un momento in cui gli animi si placano e si inizia a “venire a patti” con la perdita.

Non è infrequente ritrovare in questa fase dei riferimenti, più o meno espliciti, alla religione: è come se si iniziasse a riconoscere la perdita in maniera più realistica, legandola però ancora ad un “patto” (per esempio con Dio) che deve essere mantenuto per poterla sopportare.

Quarta fase è quella della depressione, la fase che viene un po’ in mente a tutti quando si pensa al lutto. Adesso si realizza pienamente la perdita e non ci sono “se” o “ma” che tengano: la fredda realtà è davanti ai nostri occhi e la reazione obbligata è la disperazione.

In questa fase è molto importante lasciare scorrere il dolore ed esprimerlo in tutti i modi utili per la persona. Questo avrà un effetto in qualche modo “catartico” e concorrerà all’evoluzione del lavoro del lutto. 

Quinta e ultima fase è quella dell’accettazione. Avviene una sorta di “pacificazione” rispetto a ciò che è stato e, proprio per questo, si è pronti a ritornare nel mondo. La persona o la relazione perduta vengono interiorizzate, e questa è la condizione fondamentale per poter tornare ad esplorare e a creare nuovi investimenti e attaccamenti.

 

Devo precisare che elaborare non vuol dire dimenticare: molto spesso noto che è presente questo tipo di paura nelle persone. C’è un po’ la convinzione irrealistica che superare un lutto significhi dimenticare la persona cara. In realtà, è proprio il contrario: si riesce a dare un senso a ciò che è stato e si interiorizzano gli aspetti protettivi e funzionali di quella relazione, andando a rafforzare la propria identità stessa.

Un po’ come dire che puoi trasformare la tua relazione in presenza in relazione “in assenza”, ma che il tuo legame non svanirà mai.

 

Se ti può essere utile ti segnalo alcuni testi che ti possono aiutare ad avvicinarti al tema del lutto e della morte:

- “La morte e il morire” di Elisabeth Kubler-Ross.

- “La morte amica” di Marie de Hennezel.

- “Fissando il sole”, di Irvin Yalom.

- “Passaggi di vita. Le crisi che ci spingono a crescere”, di Alba Marcoli.

- “Aiutami a dire addio” di Arnaldo Pangrazzi.

- “Saper accompagnare. Aiutare gli altri e se stessi ad affrontare la morte” di Franck Ostaseski.

 

 

Per il momento chiudo qui il discorso, ma nei prossimi post andrò ad approfondire alcuni aspetti particolari della perdita e della sua elaborazione.

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.