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Liber-ando "La morte amica"

Uno sguardo sui libri che aiutano a "liberare" il tuo potenziale


Il libro di cui voglio parlarti oggi racconta di un’esperienza tanto umana quanto inusuale, cioè l’esperienza di una persona che ha scelto di accompagnare alla morte tante altre persone.

Si tratta della testimonianza di Marie de Hennezel, una psicologa francese che ha lavorato per molti anni nell’ambito delle cure palliative.

In questo testo racconta semplicemente della vita in Hospice, del clima di estrema serenità e intimità che si respira in quelle stanze, della collaborazione e umanità dell’equipe e, soprattutto, dei pazienti che ha avuto modo di incontrare.

Persone con le storie di vita più disparate, con i bagagli socio-culturali più diversi, ma accumunati da un’unica cosa: il fatto di essere prossime alla morte.

Ed è proprio qui che si gioca l’ultima fondamentale partita: quella del dare compimento, e quindi significato, alla propria vita e al proprio salutarla.

Tra angosce, dolorosi saluti, abbracci colmi di pace, paure, tristezza, accettazione, ironia, devastazioni interiori e crisi di rabbia sembra nascondersi un’unica verità: quella legata al fatto che siamo tutti mortali e che guardare in faccia con tenerezza questa verità può salvarci.

In questo libro non trovi risposte sul senso della vita o della sofferenza, ma puoi crearti le tue. Non apprenderai che tutto è facile e che, magicamente, entrando in Hospice si può trovare la “giusta” calma e serenità (come se ne esistesse una giusta …) per salutare il mondo, ma leggendo ti sentirai in qualche modo serena/o.

Ho letto e riletto questo libro in diversi momenti della mia vita, anche quando mi sono ritrovata tra le mura “paurosamente accoglienti” di un Hospice, così come quando non ho minimamente voluto sentir parlare di malattia terminale e morte.

Sempre, a prescindere dai diversi stati d’animo o dai particolari periodi della vita in cui mi sono avvicinata a questo libro, ho trovato nuove domande, ma anche nuove risposte. Difficoltà e paure, ma anche tenerezza e conforto.

Te ne parlo perché potrebbe, forse, rendere più pensabile e dicibile un qualcosa che difficilmente lo è.

 

3 COSE CHE HO IMPARATO LEGGENDO QUESTO LIBRO

 

 

1. Non bisogna morire prima di morire.

 

Un insegnamento che traggo dalle esperienze delle persone descritte nel testo è che, proprio di fronte alla consapevolezza della propria fine imminente, si può ancora vivere pienamente.

Anzi, proprio perché senti che stai lasciando il mondo scegli di goderti tutto fino all’ultimo, provi a carpire il senso profondo del tuo vivere. Proprio adesso che stai morendo, proprio adesso che sei senza prospettive.

Ma poi, mi chiedo, chi è davvero senza prospettive?

E qui penso a tutte quelle persone che non vivono davvero per timore di lasciarsi andare o di perdere ciò che hanno, limitandosi a sopravvivere. O penso anche a chi non si ferma mai a guardare ciò che è o ciò che ha raggiunto, pensando sempre di rincorrere un altro obiettivo o un altro traguardo, senza vivere il momento presente.

Non so chi muore davvero, in fondo.

 

2. La morte è amica.

 

Frase forte, lo riconosco. Come può essere amica un’esperienza che devasta e lascia senza parole al solo pensarci? Il titolo del libro può, infatti, da un lato spaventare perché (credo volutamente) mette in bella mostra la parola morte. Dall’altro, però, usa anche il termine amica: amica nel senso che se provi ad avvicinarti all’idea della morte puoi comprendere ancora di più il valore della vita.

Se impari a non aver paura, ma a viverti questa dimensione umana come un processo naturale di compimento potresti, forse, cambiare anche la prospettiva con cui guardi la tua vita oggi. Compimento nel senso che la morte e il modo di leggerla può dare senso alla tua intera esistenza, portandola ai massimi livelli della sua realizzazione.

Compimento nel senso di dire il tuo <<si>> alla vita, nonostante tutto e nonostante tutti. Anche se e quando sarai chiamata/o a salutare la tua vita. E, se provi a trovare il tuo compimento oggi, senza aspettare domani, avrai già fatto metà del lavoro.

 

3. Accompagnare la morte vuol dire saper essere.

 

Spesso si fa terra bruciata attorno a chi soffre o sta per morire. Così come si evita di stare troppo a contatto con chi ha perso qualcuno che amava: tanti “se” e tanti “ma”, tante paure e difficoltà rispetto alla propria capacità di accompagnare qualcuno che soffre.

Non si hanno le parole “giuste”, non si sa cosa fare, non si sa cosa di dire. Si perde tutta la spontaneità e naturalezza che, invece, è misteriosamente nascosta dietro il momento dell’ultimo saluto alla vita.  

Le esperienze raccontate nel libro, anche dal punto di vista dell’equipe e dei parenti degli ospiti dell’Hospice, rimandano ad un aspetto di profonda intimità e di grande rispetto per la dignità umana. Non si smette di essere uomini perché si è prossimi alla fine, o perché si è ridotti ad un ammasso di ossa, o perché si può comunicare solo muovendo le palpebre.

Questo messaggio arriva forte e chiaro dalle pagine del libro, non risultando però mai smielato o esagerato. La morte diventa, nel paradosso, un profondo momento di incontro con l’altro e, in primis, con se stessi. Diventa un’occasione per essere, invece che per dire o fare.

 

 

CITAZIONE PREFERITA

 

<< Perché, lungi dal farmi diventare una persona depressa e morbosa, quella familiarità con la morte, quella meditazione sulla morte, mi hanno trasmesso un gusto intenso della vita e del piacere, una curiosità insaziabile. Da lì ho attinto un’immensa energia>>.

 

 

Che posizione decidi di prendere tu nella tua vita rispetto alla morte?

Io non scorderò mai Michele che, grande patito di Vasco Rossi, mi porge una caramella con le sue mani ossute, ascoltando la musica dagli auricolari e sorridendo di gusto.

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.