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Essere coppia. Essere empatici.

Empatia e relazioni 


Parlare di empatia è doveroso dopo aver affrontato il tema delle emozioni e dell’Intelligenza Emotiva.

Come avrai avuto modo di capire se hai seguito i miei post precedenti, l’empatia è una delle facoltà più importanti che costituiscono l’Intelligenza Emotiva.

Questo perché essere empatici ci permette non solo di perseguire un maggiore benessere psicologico personale, ma anche di stabilire buone relazioni con gli altri.

Se impari ad essere empatica/o sarai in grado di avere maggiore com-passione per te stessa/o e per gli altri, riuscendo ad adattarti meglio alle sfide che la vita ti porrà davanti. Se sei capace di riconoscere dentro di te le emozioni sarà per te ancora più facile riconoscerle negli altri e provare un attimo ad “uscire da te stessa/oper incontrare davvero chi ti sta accanto in maniera profonda.

Ma cosa mi interessa essere empatica/o? Forse ti starai chiedendo a cosa ti serve l’empatia e qual è il beneficio che ne potresti ricavare: beh, avrai la possibilità di vivere pienamente la tua vita, proprio perché vivrai meglio insieme alle persone che la riempiono.

Questo discorso vale ancora di più quando parliamo di coppia o genitorialità: la relazione con il partner o quella con i figli è un grosso banco di prova per esercitare l’empatia e per farne esperienza, sia come “ricevente” che come “agente”. Questo perché se nella tua storia di vita hai imparato a ricevere accettazione, ascolto e comprensione sarà quasi automatico che tu possa “applicare” questi doni relazionali anche quando cresci ed hai a che fare con gli altri.

Questo per dire che l’empatia è, si, una sorta di “modo di essere” (in questo senso, o ce l’hai o non ce l’hai …), ma è anche un processo in divenire, un qualcosa che si può stimolare e imparare, già a partire dalle primissime esperienze di vita.

Molto spesso mi accorgo che le maggiori difficoltà delle coppie sono legate proprio ad un difetto di empatia: facciamo molta fatica ad avvicinarci agli altri senza applicare anche a loro il nostro sistema di pensiero e di valori, senza giudicare, e senza avere la presunzione di sapere già cosa sentono o pensano solo perché crediamo di conoscerli.

Ecco che, allora, provare a lavorare sulle tue qualità empatiche può essere una buona strada sia per applicarle a te stessa/o, e quindi per sentirti meglio internamente, che per metterle in pratica nelle tue relazioni per renderle davvero ricche e soddisfacenti.

 

Che cos’è l’empatia?

 

Il concetto di empatia è, a mio avviso, oggi forse troppo usato e, tra l’altro, nei contesti più disparati: questo può portare al rischio di utilizzare una stessa parola riferendosi, invece, a concetti in pratica molto distanti tra loro. Nonostante l’empatia sia già da tempo oggetto di studio, difficoltà di ordine teorico e metodologico hanno ostacolato lo sviluppo di una definizione univoca di questo concetto e di una metodologia di ricerca condivisa.

Tra le tante definizioni che sono state date nel corso del tempo preferisco riferirmi a quella di un uomo che, a mio modesto parare, può essere considerato il “padre dell’empatia”, cioè lo psicologo Carl Rogers. Rogers fu uno dei primi ad introdurre questo concetto nel mondo psicologico e, aspetto ancora più importante, lo rese azione concreta all’interno della relazione terapeutica.

Trasformò, cioè, un concetto che potrebbe restare mera teoria in una modalità relazionale fondamentale per tutti, ma soprattutto per chi stabilisce una relazione di aiuto con un’altra Persona. Egli definisce l’empatia come “la capacità di immergersi nel mondo soggettivo altrui e di partecipare alla sua esperienza in tutta la misura in cui la comunicazione verbale e non verbale lo permette. In parole più semplici, è la capacità di mettersi al posto di un altro, di vedere il mondo come lo vede costui”(Rogers e Kinget 1962, p. 92).

Scelgo di farti focalizzare l’attenzione su alcune parole presenti in questa definizione: “immergersi”, “partecipare”, “mettersi al posto”, “vedere come” … non so se anche dentro di te evocano qualcosa di simile, ma a me fanno venire subito in mente qualcosa che ha a che vedere con un incontro, l’essere in relazione con un’altra unicità e l’aprirsi ad essa.

Essere empatici, quindi, vuol dire provare a mettersi nei panni dell’altro, a sentire come sente lui, a pensare come pensa lui: sforzarsi davvero di com-prenderlo senza se e senza ma, solo con la genuina voglia di avvicinarlo e stabilire una relazione profonda. Va da sé che, nel momento in cui una persona sente che un’altra si sta sforzando di entrare nel suo mondo, le difese si abbassano e inizia a farsi strada la fiducia.

Fiducia nel fatto che ci si sente capiti e che anche in futuro si potrà esserlo, fiducia nel fatto che si può chiedere aiuto o ci si può raccontare agli altri, fiducia nel fatto che non si è soli.

Se ci fai attenzione, dalla definizione di Rogers si evince anche che nell’empatia non sono contemplati solo aspetti emotivi, ma anche cognitivi, in quanto qui si fa riferimento al concetto di “mondo soggettivo altrui”; e se parliamo di mondo soggettivo rientrano anche modi di vedere le cose, punti di vista, valori. E, ancora, possiamo anche concludere che l’empatia ha una componente implicita non verbale ed una più esplicita, verbale (che poi è quella che di solito viene comunicata attraverso il linguaggio).

Questa visione viene anche confermata dagli studi sui neuroni specchio, che possono essere considerati una sorta di “prova cerebrale" dell’esistenza dell’empatia. Le recenti ricerche sui neuroni specchio, infatti, ci aiutano a capire un po’ meglio cosa succede nel cervello quando entriamo in relazione con gli altri e quando esercitiamo l’empatia, sottolineando come alla base dell’intersoggettività ci sia un doppio movimento tra processi automatici e processi espliciti.

 

Neuroni specchio e intersoggettività

 

Quali sono, allora, i processi cerebrali che potrebbero spiegare la sintonizzazione, l’empatia e l’intersoggettività? Una risposta a questa domanda è stata data con la scoperta dei neuroni specchio, che spiega a livello neuronale i fenomeni dell’intersoggettività e dell’empatia.

Gallese, Rizzolatti e altri ricercatori hanno rilevato nel cervello della scimmia macaco l’esistenza di una popolazione di neuroni motori che scaricano non solo quando la scimmia esegue azioni finalizzate con la mano, ma anche quando osserva le stesse azioni eseguite da un altro individuo, scimmia o uomo che sia. 

Molteplici studi neuro-scientifici utilizzanti tecnologie diverse hanno dimostrato che anche il cervello umano può contenere innumerevoli sistemi mirror, che confrontano e mappano le sensazioni e le emozioni provate dagli altri con le nostre, utilizzando routines di simulazioni.

Tradotto per i non addetti ai lavori questo vuol dire, per esempio, che vengono attivate le stesse aree cerebrali sia se stiamo facendo noi in prima persona un’azione, sia se la vediamo fare ad altri. E lo stesso discorso vale per le emozioni: per renderti l’idea, sia che tu provi tristezza, sia che ti sintonizzi con la tristezza altrui, l’attivazione cerebrale è la stessa.

Infatti, l’aspetto più importante ai fini dell’empatia e della comprensione dell’intersoggettività è rappresentato soprattutto dal fatto che la funzione dei neuroni specchio è essenzialmente una funzione di simulazione, che crea nell’osservatore uno stato mentale analogo a quello dell’oggetto osservato.

Se pensiamo all’empatia come alla comprensione dello stato emotivo altrui e del suo sistema di riferimento, questa scoperta confermerebbe che, in origine, essa sia una funzione implicita e automatica presente nell’essere umano anche a livello cerebrale.

Quindi, Gallese e il suo gruppo ipotizzano che le stesse strutture nervose attive durante l’esperienza soggettiva di sensazioni ed emozioni sono attive anche quando cerchiamo di decodificare negli altri le stesse sensazioni ed emozioni, costituendo il substrato neuronale dell’intersoggettività e dell’empatia.

Questo ci porta a capire quanto l’empatia possa essere, per certi versi, “plasmata” a partire dalle esperienze di relazione che facciamo da piccoli con le nostre figure di accudimento e, successivamente, in tutte le relazioni importanti della nostra vita.

 

Regolazione delle emozioni e relazione

 

Come accennato sopra, la regolazione delle emozioni e l’empatia sono strettamente legate alle esperienze di relazione: modalità disorganizzate non permettono coesione e continuità, ma mantengono attivazioni caotiche della mente, mentre esperienze di relazioni evitanti o traumi, costruiscono equilibri troppo rigidi di controllo emotivo che limitano lo sviluppo della complessità del sé.

Questo perché, come abbiamo visto, il cervello risponde agli stimoli attivando gruppi di neuroni che entrano in connessione tra loro e che assumono la capacità di essere nuovamente attivati contemporaneamente nella relazione con gli altri: e, dato che queste funzioni si sviluppano e si organizzano nei primi anni di vita, le persone che si prendono cura del bambino possono profondamente influenzare questo processo, favorendolo o inibendolo.

In altre parole, nel rapporto con il genitore e nelle comunicazioni emotive con quest’ultimo il bambino impara a riconoscere e a organizzare la sua vita interiore e il suo modo di percepire il mondo, oltre a “plasmare” il suo cervello. Le esperienze successive, poi, non faranno altro che riconfermare o smentire ciò che è stato appreso in precedenza.

Come abbiamo visto, le emozioni sono contenuti fondamentali delle comunicazioni interpersonali e hanno il ruolo di influenzare l’elaborazione delle informazioni, perché ne permettono la valutazione e l’attribuzione di significato. Sintonizzazioni affettive, comunicazioni collaborative, dialoghi “riflessivi” consentono lo sviluppo nel bambino di una coerenza interna; così, le esperienze sociali e relazionali attivano circuiti neurali che modificano la struttura cerebrale, modulando a loro volta le emozioni.

Perciò, se le emozioni sono definibili come fondamentali processi integrativi che collegano tutte le funzioni e le attività della mente, le relazioni interpersonali significative possono, durante tutta la vita, favorire o meno lo sviluppo e l’apprendimento di nuove capacità empatiche e di organizzazione del sé.

 

L’empatia nella relazione di coppia

 

Ciò che siamo all’interno della nostra coppia spesso dipende da ciò che siamo stati nella nostra storia di vita con le nostre figure di riferimento. Non sto ad approfondire questo concetto perché ho intenzione di scrivere alcuni post a riguardo. Ciò che è importante capire è che, tanto più hai fatto esperienza di relazioni empatiche, tanto più sarai capace di essere accogliente ed empatica/o con chi ti sta accanto oggi.

Non devi darti per vinta/o, però, se pensi di non aver fatto questo tipo di esperienze nella tua vita: potrai, pian piano, imparare ad essere più empatica/o sia con te stessa/o, che con il tuo partner o i tuoi figli.

La prima capacità da esercitare per essere empatici è l’ascolto. Ascoltare non vuol dire sentire il contenuto di ciò che ci viene detto: significa avvicinarsi all’altro con l’intento genuino di comprendere davvero non solo ciò che ci dice con le parole, ma tutto quello che sente dentro, che pensa, che ci trasmette anche oltre le parole. E questo vale sia per la relazione di coppia che per la relazione con i nostri figli.

Quante volte ti messa/o a fare altro mentre tuo figlio o il tuo partner ti stavano raccontando qualcosa, senza porvi più di tanto attenzione? Non barare, dai! Lo facciamo tutti, prima o poi. Se tu ascolti davvero fai sentire all’altro che è importante e che sei lì per lui, e questo non fa altro che alimentare la relazione e la fiducia reciproca. Quindi, parla meno e ascolta di più.

L’ascolto ti permette di andare a cogliere il significato emozionale di quello che ti viene comunicato: questo vuol dire capire dov’è emotivamente l’altra persona. Ti è mai capitato, per esempio, di vedere il tuo partner triste o accigliato e di sentire che, invece, a parole ti dice “tutto bene”? Ecco, se vai oltre il “tutto bene”, e gli rimandi il fatto che lo senti triste, magari si sentirà compresa/o e inizierà a raccontarti che ha avuto una delusione a lavoro ecc ecc ….

L’empatia, perciò, andrà ad aumentare l’intimità della tua relazione, facendoti avere una grande percezione di vicinanza reciproca, oltre a potenziare la cooperazione e la soddisfazione personale e di coppia. Infine, l’empatia fa crescere non solo la tua relazione, ma anche la persona a cui tieni: fare esperienza di sentirsi accolti, ascoltati, rispettati e non giudicati può fare una grandissima differenza ai fini del proprio benessere psicologico.

Come ti ho raccontato brevemente nel paragrafo prima, sono proprio le relazioni “nutrienti”, già a partire dalla culla, che fanno crescere sia il nostro cervello che tutta la nostra Persona, e sono anche quelle che ci permettono di sentirci realizzati e pieni a livello interiore e sociale.

 

Allora, cosa aspetti ad allenare l’empatia all’interno delle tue relazioni?! Ah … ti ricordo una cosa importantissima: non puoi fare nulla di tutto ciò se prima non inizi ad essere empatica/o con te stessa/o. Non ci sono altre vie possibili e praticabili: se ti prendi cura di te (magari anche con il supporto di un professionista) puoi prenderti cura delle tue relazioni, provare per credere!

 

Per il momento passo e chiudo, ma credo proprio che andremo ad approfondire questi concetti più avanti.

Ti lascio, come al solito, qualche spunto se vuoi approfondire:

- “Le parole sono finestre (oppure muri)”, di  Marshall Rosemberg.

- “Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia”, di Laura Boella.

- “Che cos’è l’empatia”, di Giada Matricardi e Paolo Albiero.

- “Relazione di coppia efficace”, di Patty Howell e Ralph Jones.

- “Genitori efficaci”, di Thomas Gordon.

 

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.