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Attaccamento e relazioni affettive

Stai ripetendo o capovolgendo il tuo "copione teatrale"?


Ti è mai capitato di chiederti perché tendi a “preferire” determinate persone piuttosto che altre? O perché finisci spesso per avere un certo tipo di relazioni? O perché sembra che, con certe persone, ti comporti sempre in un dato modo?

Se si, hai beccato l’articolo giusto per te! Se ti sei posta/o queste domande almeno una volta nella vita, vuol dire che, molto probabilmente, stai scegliendo (anche se la maggior parte delle volte non lo sai!) di adottare un determinato copione di vita.

E, come se tu fossi a teatro, “interpreti” una data parte: questo ruolo può essere più o meno cangiante in base alle situazioni, ma ricalca un determinato modello.

Dicendo questo non voglio insinuare che sei falsa/o o che nella vita fingi portando una maschera: in questo articolo voglio farti riflettere sul fatto che ciò che sei oggi e il tuo modo di porti in relazione con gli altri è, quasi sempre, frutto del tipo di relazioni che hai sperimentato in passato.

Frutto di quella che in gergo si chiama “storia di attaccamento”: infatti, il tipo di attaccamento che hai stabilito quando eri molto piccola/o per potertelo ricordare in maniera cosciente ha un’influenza sulle relazioni che hai oggi.

Influenza che può portarti, nella maggior parte dei casi, o a replicare in maniera puntuale e più o meno identica il copione che hai già sperimentato, o a distaccarti dal tuo copione passato, magari comportandoti all’opposto o in una maniera diversa rispetto a ciò che è stato prima.

Ma, andiamo per gradi. Ti starai chiedendo cosa sia questo legame di attaccamento che devi aver stabilito quando eri piccola/o, no?

 

Che cos’è l’attaccamento

 

Intorno agli anni ‘60, un signore chiamato John Bowlby postulò una teoria assolutamente rivoluzionaria nel suo genere, e che oggi è un riferimento molto importante soprattutto per chi svolge la professione di psicoterapeuta. La teoria in questione è la Teoria dell’Attaccamento.

Se tu metti un cucciolo di scimmia davanti a due “madri fantoccio” potrai notare delle belle differenze. Facciamo finta che la prima “madre fantoccio” sia fatta di metallo, ma abbia un biberon dal quale il cucciolo può prendere il latte quando vuole. L’altra “madre fantoccio” non avrà a disposizione il latte, ma sarà fatta di una stoffa morbida, calda e accogliente. Con chi credi che il cucciolo di scimmia passerà più tempo? Anche se forse ti sembra strano, con la seconda mamma.

Da questo esperimento di uno studioso chiamato Harlow, Bowlby trasse ispirazione e conferma per costruire in maniera strutturata la sua teoria: esisterebbe, cioè, in ogni neonato (e, come già visto, non solo di umano!) una spinta assolutamente spontanea e innata a “legarsi” alla figura che lui riconosce come riferimento, detta figura di attaccamento. E questa spinta gli farà mettere in atto dei comportamenti, che saranno sempre più evoluti e strutturati man mano che cresce, finalizzati a “tenersi stretta” la figura di riferimento.

Non sto qui ad annoiarti su questioni psicologiche complesse e teoriche: quello su cui credo sia importante riflettere è proprio il fatto che il legame di attaccamento non è solo legato ad una sopravvivenza puramente fisica, quindi connessa per esempio all’assunzione di cibo, ma soprattutto ad una “sopravvivenza psicologica” legata, cioè, all’affettività e al senso di sicurezza.

Quello che il bambino ricerca nella sua mamma, o in chi ne fa le veci, è proprio una relazione calda, disponibile, protettiva e continua, ancora prima e al di là del fatto che possa ricevere anche del cibo. Ciò che ci insegna la Teoria dell’Attaccamento è proprio l’esistenza di una predisposizione innata a sviluppare dei legami significativi.

In questo senso, le minacce ai legami di attaccamento o la loro interruzione vengono considerate le principali responsabili delle reazioni di disagio e disperazione che i bambini piccoli manifestano alla separazione dalla madre. Esperienze di distanza o freddezza che, se reiterate, potrebbero diventare fonti di disturbi psicopatologici.  

Infatti, proprio riguardo a questo bisogno di una calda relazione affettiva, un aspetto molto importante è anche il fatto che spesso le figure di attaccamento non sono in grado di rispondere ai bisogni di conforto, sicurezza e rassicurazione emotiva del bambino: in questo caso, succede che il bambino conservi il proprio legame di attaccamento anche a scapito del proprio funzionamento interno.

Questo tradotto vuol dire che se io sento di fare una determinata cosa, o provo delle emozioni in particolare, tenderò a “soffocarle” se capisco che, per qualche motivo, non sono gradite alla persona che si prende cura di me. In quel momento, preferisco rinunciare a me stessa/o per non perdere la vicinanza con la mia figura di attaccamento.

Per renderla semplice, io tenderò a comportarmi in un modo piuttosto che in un altro in base a come si comporta la mia figura di attaccamento. E, molto probabilmente, mi porterò dietro questo “stile” per tutta la vita o quasi.

 

Gli stili di attaccamento

 

Bowlby introdusse il concetto di “base sicura”, proprio per riferirsi a quello che succede quando un attaccamento è sicuro: il bambino sentirà che i suoi bisogni di calore, vicinanza e protezione sono soddisfatti e, proprio per questo, potrà permettersi di esplorare l’ambiente e distaccarsi dalla sua figura di accudimento, (che è percepita, appunto, come una base sicura) per poi farci ritorno nel caso in cui si senta minacciato durante la sua esplorazione. Viceversa, se un attaccamento non è sicuro andranno a prevalere insicurezza, instabilità, distacco o paura dell’abbandono.

A seguito degli studi di Bowlby una sua collaboratrice, Mary Ainsworth, ideò una procedura sperimentale per andare a misurare il tipo di attaccamento presente all’interno delle relazioni tra madre e bambino. Questo esperimento si chiama Strange Situation e prevede l’osservazione delle reazioni emotive del bambino mentre è con la mamma, quando la mamma va via dalla stanza di gioco e resta con un estraneo, e quando la mamma ritorna.

Da questo esperimento si sono rintracciati degli stili di attaccamento, che ti riassumo brevemente qui.

 

Attaccamento sicuro: tipico di un bambino che si sente accolto e sostenuto dalla madre. Sono, infatti, presenti sentimenti di sicurezza e fiducia, sia in situazioni normali che di pericolo, che portano il bambino a non temere il distacco e ad esplorare tranquillamente l’ambiente.

Oltre questo, il bambino sente di essere amabile e capace, ha un’adeguata stima di sé e crede sia nelle sue capacità che in quelle degli altri. Le emozioni maggiormente sperimentate sono, perciò, sicurezza, fiducia e gioia.

 

Attaccamento insicuro evitante: tipico di un bambino che non solo crede di non avere il supporto della sua figura di attaccamento in caso di bisogno o pericolo, ma che si sente proprio rifiutato in genere. Allora impara a doversela cavare da solo, contando solo sulle sue forze e strutturando un’autosufficienza che non è solo concreta, ma anche emotiva.

In questo senso, i comportamenti di attaccamento vengono disattivati per favorire quelli di esplorazione, proprio perché gli altri sono assenti o non ci si può fidare di loro. Questo comporta una sorta di “prevedibilità del rifiuto”, con conseguente tendenza ad evitare le relazioni, incapacità di chiedere aiuto e fiducia solo in se stessi. Prevalgono sentimenti di tristezza e solitudine.  

 

Attaccamento insicuro ambivalente: in questo caso il bambino non può esplorare e separarsi perché impara che senza la mamma non può fare nulla. Qui la difficoltà è sul fronte dell’autonomia, spesso carente, proprio perché si ha poca fiducia nelle proprie capacità e risorse.

Ecco che, allora, arriva molto forte l’angoscia dell’abbandono: senza la figura di riferimento sembra che il mondo crolli e che non ci sia via di scampo. E questo sentire si sedimenta proprio perché se il bambino prova ad allontanarsi dalla mamma viene criticato o disapprovato.

Si alimenta, così, un profondo senso di insicurezza e un continuo bisogno di rassicurazione, insieme alla sensazione di non essere abbastanza importante e capace. Le emozioni predominanti sono, di conseguenza, paura e tristezza.

 

Attaccamento insicuro disorganizzato: questo è il regno del caos, perché non esiste una logica costante nella relazione madre-bambino. Purtroppo il bambino sperimenta cambi repentini e immotivati nell’umore e nei comportamenti della madre.

Vive la continua instabilità emotiva della figura di riferimento, che oggi è presente e domani non si sa. Oggi è una presenza rassicurante, mentre domani diventa minacciosa o pericolosa. Questo gli impedirà di fidarsi degli altri perché sono percepiti come instabili e imprevedibili.

Il bambino stesso viene percepito dalla madre in modo sempre diverso: un momento ha il ruolo di vittima e viene soccorso, un altro diventa il persecutore cattivo che viene punito, un altro ancora il salvatore che deve andare in soccorso della mamma.

Potremmo dire che in questo caso prevale non solo un senso di instabilità e imprevedibilità generale, ma una vera e propria disorganizzazione. La stessa che ritroviamo poi nelle più gravi forme di psicopatologia.

 

Mi rendo conto che questi concetti possono non essere di facile comprensione per chi non è addetto ai lavori e, proprio perché l’intento di questo blog non è quello di fare speculazioni teoriche fini a se stesse, ti parlo di questo argomento solo per farti capire quanto le tue esperienze di attaccamento siano cariche di significato.

E lo hanno proprio perché, come spero di averti fatto comprendere, stabilire un determinato legame di attaccamento piuttosto che un altro (o, purtroppo, non stabilirlo proprio …) fa moltissimo la differenza: incide sulla struttura della personalità, incide su quanto ti sentirai sicura/o o no nella tua vita, su come entrerai in relazione con gli altri, sul tuo ben-essere psicologico in genere.

Devi pensare all’attaccamento come ad una sorta di “bussola”: una bussola che genera delle rappresentazioni su di te, sugli altri, sulle relazioni, su come vedi il mondo in genere. Queste rappresentazioni si chiamano Modelli Operativi Interni, e sono proprio quelle che ti permettono di “andare in scena” nel teatro della vita, seguendo appunto un dato copione.

 

I modelli operativi interni

 

Come abbiamo visto sopra, il bambino percepisce il mondo attraverso la madre e gli adulti con i quali vive un rapporto emozionale: ed è proprio questo rapporto che caratterizzerà le esperienze fondamentali della sua vita. Infatti, è dall’esempio dei genitori, dal loro modo di comunicare e di comportarsi nell’interazione con il bambino che si formano delle tracce di memoria, più o meno coscienti.

Queste tracce mnestiche orienteranno le sue esperienze future ed il suo modo di interagire con il mondo adattandosi alla realtà. Si formeranno, in poche parole, dei “modelli” di sé e dell’altro in interazione. Queste strutture di memoria implicita di Sé, delle figure d’attaccamento, del mondo e delle relazioni che li legano sono definite Modelli Operativi Interni.

Man mano che il bambino interagisce con la mamma si formano, quindi, delle “aspettative” rispetto a come lei reagirà ai suoi bisogni di attaccamento e delle “ipotesi” su come la relazione stessa si evolverà. Queste attese sulle reazioni della propria madre confluiscono in una sorta di immagine interiore e, per estensione e generalizzazione, anche in un modello degli altri e, in particolare, di quelle persone con le quali si instaureranno delle relazioni affettive.

I Modelli Operativi Interni sono inizialmente inconsci (infatti un lavoro di psicoterapia ha anche la funzione di renderli consapevoli …) e relativamente stabili nel tempo, e li utilizziamo proprio per rapportarci con il mondo esterno, in particolare per affrontare tutte le situazioni relazionali che incontreremo nel corso della vita.

In questo modo, le esperienze passate possono essere conservate nel tempo e utilizzate come “guida” generando aspettative e influenzando i comportamenti futuri. C’è anche da dire, però, che, seppur stabili nel tempo, questi schemi mantengono proprio il carattere di “operatività”, nel senso che si possono in qualche modo modificare grazie alle nuove esperienze relazionali che facciamo.

Ed è qui che, per certi versi, si nasconde la salvezza: se io ho sperimentato un attaccamento non proprio felice nella mia vita posso tendere a replicarlo, ma posso anche sperimentare delle altre relazioni affettive che vanno a modificare in positivo gli schemi interni che mi sono costruita/o nel corso del tempo. Ecco come, per esempio, una relazione sentimentale particolarmente sana o magari anche la relazione che si instaura con il terapeuta, possono essere lette come “esperienze emozionali correttive” che vanno a mitigare gli effetti di relazioni di attaccamento disfunzionali.  

Da un lato quindi, come diceva Bowlby, il tuo attaccamento ti segue “dalla culla alla tomba”, ma è anche vero il fatto che non è tutto già scritto e che hai il potere di apprendere dalle tue esperienze provando a modificare i tuoi modelli interni di relazione.

 

Per il momento possiamo terminare qui il nostro viaggio nel mondo delle relazioni, ma ti lascio, come sempre, qualche spunto se vuoi approfondire:

- “Teoria dell’Attaccamento. Storia, strumenti, psicopatologia”, di Giorgio Caviglia.

- “Relazioni ferite. Prendersi cura delle sofferenze nel rapporto Io-Tu”, di Maria Luisa Verlato e Maura Anfossi.

- “Attaccamento e legami. La costruzione della sicurezza”, di Grazia Attili.

- “Attaccamento e amore”, di Grazia Attili.

 

 

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.