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Liber-ando, nonostante tutto

Uno sguardo sui libri che aiutano a "liberare" il tuo potenziale


Questa è un’estate diversa dalle altre. Ma, nonostante tutto, anche quest’anno voglio suggerirti 3 libri da portare con te.

3 libri da leggere anche se magari non andrai in vacanza, o anche se quest’anno la tua pausa sarà diversa.

Non a caso sono dei libri che parlano di cadute e di rinascite, delle nuove opportunità che possono nascondersi anche dietro e dentro la crisi.

Allora non mi resta che augurarti lo stesso buone vacanze, buon riposo o, perché no, buon lavoro nonostante tutto!

 

 

“Dieci donne” di Marcela Serrano.

 

Questo è un libro che parla di donne. E lo fa partendo proprio dalla loro viva voce: infatti, nove donne si ritrovano nello studio della loro terapeuta e si raccontano. Potremmo definirlo una sorta di storia nella storia, proprio perché ogni capitolo del testo è dedicato ad una di queste donne e alla sua storia.

Storie di vita, di morte, di sofferenza, di gioia. Storie di femminilità, oserei quasi dire.

La narrazione mette, a mio avviso, la lente di ingrandimento sull’universo femminile, e lo fa in un modo molto particolare e non banale. E’ il modo della condivisione di vite, completamente diverse per vissuti, estrazione sociale, età, ma accumunate dalle stesse passioni, gli stessi sentimenti, le stesse paure.

Leggere smuove, inevitabilmente, anche le tue emozioni rispetto a qualche storia simile che puoi aver vissuto o, in ogni caso, ti smuove dentro se provi per un secondo ad immedesimarti con le donne che stanno condividendo la loro storia: sembra quasi che le pagine si animino per parlarti direttamente.

E, infine, sembrano lasciarti un “testamento” molto importante: fai della tua vita un miracolo anche e nonostante le cadute che, se vivi, avrai.

 

3 cose che ho imparato dalla lettura di questo libro:

 

1. Se ti doni ti riempi.

 

Forse per pudore o per poca fiducia, siamo spesso portati a tenerci tutto dentro, a “nasconderci” dietro facciate anonime per non far trasparire ciò che siamo davvero. E questo vale sia per gli aspetti belli di noi, che per quelli brutti. La nostra storia, e anche le nostre ferite, rimangono spesso sepolte dentro il nostro cuore e questo non fa altro che alimentare solitudine e tristezza.

Ecco che, allora, donarsi può significare anche raccontarsi. Raccontare la propria vita per avvicinarsi a qualcun altro, ma anche per aiutarlo o arricchirlo attraverso la nostra esperienza, anche se non è stata proprio felice.

Questo libro mi lascia, quindi, un messaggio banale quanto “rivoluzionario”: si può raccontare di sé e, anzi, raccontarsi può alleviare le paure o le ferite che ci portiamo dentro, perché è come se buttandole fuori possano diventare un po’ meno “pesanti”. Condividere la tua vita e i tuoi sentimenti con qualcuno di cui ti fidi e da cui ti senti compresa/o può avere davvero una funzione catartica, oltre a farti sentire la connessione con gli altri. E questo può riempire tanto il cuore, ma anche la mente.

 

2. Impara ad avere il coraggio di rialzarti.

 

Le storie di queste dieci donne sono tutte storie di cadute e di riprese. Di delusioni e immenso dolore, ma anche di rivincita e rinascita.

Quello che emerge in maniera netta da ogni storia narrata è proprio la bellezza del “risorgere” dalle proprie ceneri: è vero che la vita non è sempre clemente con noi e, anzi, sembra che a volte si diverta a farci del male. Ma è anche vero che abbiamo la possibilità di scegliere se e come reagire, sempre.

E, allora, il monito che mi porto dietro dalla lettura di questo libro è proprio quello di andare avanti un passetto alla volta, di scrollarsi di dosso la polvere della caduta con la fiducia che la prossima volta andrà meglio. E, paradossalmente, con la fiducia che la caduta successiva sarà ancora più importante perché ci insegnerà qualcosa di più.

 

3. Fidati della relazione.

 

Nel loro raccontarsi, tutte queste donne fanno cenno al loro percorso di terapia e al fatto che, in maniera molto diversa per ognuna, questo sia stato utile e arricchente per loro. La cosa che mi colpisce di tutto ciò è il fatto che non siamo davanti ad una sorta di “incensazione” del ruolo dello psicologo o cose simili: resta, invece, il senso profondo di un incontro faccia a faccia che può cambiarti la vita.

E, quasi sempre, non te la cambia perché il professionista che hai davanti è un luminare o un genio a livello tecnico: te la cambia proprio perché chi hai davanti è una Persona come te che ti vuole incontrare nel modo più genuino possibile.

Che ti prende a cuore, che non ti giudica, e che è sinceramente interessata a te.

Dal libro traspare proprio l’affetto che queste donne hanno verso la loro terapeuta, e viceversa. Un affetto che, spesso, va oltre le parole ed è intriso di gesti, di sguardi, di sorrisi. Parliamo di una relazione che è “curativa” proprio perché è una relazione, senza se e senza ma.

E tutto questo diventa possibile solo nel momento in cui si abbassano le barriere della sfiducia o della paura e si sceglie di afferrare la mano che ci viene tesa: infatti, si toccano delle profondità e delle intimità vere solo nel momento in cui ci si prende il rischio di fidarsi e affidarsi da Persona a Persona.

 

Citazione preferita:

 

“L’unica condizione perché una vita come la mia possa funzionare è star bene con se stesse. Confidare in sé. Senza risorse interiori, non c’è niente da fare. Samuel Beckett ha scritto una frase che cito in silenzio quando mi vengono dei dubbi sulle mie scelte: “Non importa. Prova ancora. Sbaglia ancora. Sbaglia meglio”.

 

 

“Se incontri il Buddha per strada uccidilo” di Sheldon Kopp

 

Possiamo definire questo libro una sorta di saggio che parla di ricerca personale e di significato. Una ricerca che, molto spesso, tendiamo a vedere come una “corsa” per inseguire un qualcosa di esterno a noi, una verità che solo qualcun altro ci può rivelare.

Sheldon Kopp utilizza diversi linguaggi per farci riflettere su tutto questo: quello dei casi clinici che racconta, quello personale dei suoi vissuti, quello della mitologia, della religione e della letteratura attraverso le storie di numerosi personaggi esistiti e non.

Ciò che accomuna la complessità del testo è un unico “semplice” tema: quello del potere personale, quello della propria verità come unica forma di “illuminazione” e crescita possibile.

A mio avviso non di semplicissima lettura, il libro non si rivolge solo agli addetti ai lavori ma la sua complessità potrebbe renderlo poco attraente agli occhi di chi non ha una determinata base culturale: infatti, lascia il lettore in qualche modo libero di trarre le sue conclusioni rispetto a ciò che legge, senza la pretesa di insegnare per forza qualcosa. Il rischio, però, è quello di porsi con un’eccessiva “distanza” nei confronti del lettore, cosa che non aiuta certo la comprensione e l’attenzione.

A parte questo dettaglio, frutto di un mio personalissimo giudizio, devo dire che il libro fa venire voglia di aumentare le proprie conoscenze anche nel campo della letteratura e della mitologia, e ci permette, infine, di metterci in discussione rispetto a quanto ci sentiamo protagonisti del nostro percorso di crescita interiore o a quanto tendiamo ad affidarci a “guide” esterne per trovare le nostre verità.

 

3 cose che ho imparato dalla lettura di questo libro:

 

 

1. La verità più importante è già dentro di te.

 

Leggere questo libro mi ha fatto riflettere su quanto, anche in ambiti molto diversi tra loro, tendiamo spesso a cercare supporto in altre Persone. Soprattutto quando parliamo di significati personali e ricerca di senso, il movimento più importante dovrebbe essere proprio verso il proprio interno, invece che verso l’esterno.

Non è infrequente, invece, attraversare un periodo di crisi cercando un aiuto che arriva, magari, da diversi guru e paraguru improvvisati o, per non andare troppo lontano, ci possiamo ritrovare a “pendere dalle labbra” delle Persone a noi più vicine per compiere scelte o per superare un momento di indecisione.

Ora, il punto non è quello che bisogna cavarsela da soli e non chiedere aiuto: non ti sto dicendo che tutti gli insegnamenti e gli spunti che arrivano da fuori sono da evitare, anzi! La lettura del testo mi ha fatto riflettere sull’importanza di avere tu l’ultima parola: puoi trarre sicuramente beneficio e ricchezza da tutto ciò che arriva da fuori, ma dovrai essere poi tu a trovare dentro di te le tue verità.

 

2. L’importanza di fidarsi di se stessi.

 

Non so se ti è mai capitato, ma con maggiore o minore frequenza nella nostra vita, ci sentiamo poco fiduciosi rispetto alla nostra capacità di discernimento e di comprensione di noi stessi e della nostra realtà. Allora, come già detto sopra, tendiamo a chiedere consiglio a chi vediamo come più sicuro, più esperto, più forte di noi.

Questo libro va, invece, nella direzione opposta invitandoci ad ascoltare di più ciò che ci arriva dal nostro interno: sensazioni, pensieri, emozioni, riflessioni personali hanno pari diritto di esistenza rispetto a quelle altrui e, ancora, sono importanti quanto quelle degli altri.

Allora, l’invito è quello di fermarti più spesso a parlare con te, a chiederti cosa senti, cosa vuoi, cosa pensi in merito ad una data cosa: puoi trarre una grande ricchezza da ciò che ti arriva da fuori solo se impari ad avere maggiore fiducia in ciò che ti arriva da dentro.

 

3. Lo psicoterapeuta come compagno di viaggio.

 

Un po’ in linea con il punto precedente, un aspetto che mi ha molto colpito è la visione che Kopp dà del percorso di cura psicologica: definisce lo psicologo una sorta di compagno di viaggio, assolutamente umano e fragile al pari del suo paziente, che è solo più “esperto” perché ha vissuto prima determinate sfide personali e, si spera, ha imparato a fronteggiarle e a superarle.

Questo per dire che, molto spesso, si tende a dipendere dal proprio terapeuta, vedendolo quasi come il detentore di una verità assoluta da rivelare al suo paziente, il quale aspetta impotente di riceverla. Questa immagine è quanto di più sbagliato può esserci quando parliamo di psicoterapia.

Come dico spesso ai miei pazienti, devi immaginare la psicoterapia come una scalata che fanno sia il terapeuta che il paziente: ognuno scala la sua montagna e fa la sua fatica. L’unica differenza è che il terapeuta riesce anche a guardare te mentre scali e ad “avvertirti” se ci sono dei punti critici da evitare. Sarai, però, poi sempre tu a scegliere come scalare la tua montagna.

 

 Citazione preferita:

 

“Le cose più importanti che ogni uomo deve imparare, nessun altro gliele può insegnare. Una volta accettata questa delusione, sarà in grado di non dipendere dal terapeuta, il guru, che si dimostra soltanto un altro essere umano in lotta. Le illusioni muoiono con difficoltà, ed è doloroso accettare l’insight che un adulto non può essere il discepolo di nessuno. Questa scoperta segna non la fine della ricerca, bensì un nuovo inizio”.

 

 

“Più Felice. Come imparare a essere felici nella vita di ogni giorno” di Tal Ben-Shahar

 

Potrei definire questo testo un “ponte” tra il mondo accademico e della ricerca scientifica, e la realtà quotidiana della vita di ognuno di noi. Questo perché è un libro che fa riflettere sulla felicità e su come perseguirla nella propria vita, e lo fa basandosi su ricerche e studi accademici di rilievo usando, però, una modalità molto vicina al linguaggio comune.

Ho molto apprezzato la schematicità con la quale sono trattati gli argomenti che, però, non dà al testo un senso di rigidità e distacco, bensì di ordine e semplificazione. Infatti, troverai una prima parte nella quale sono presenti tutta una serie di riflessioni sulla felicità; una seconda dove il tema della felicità è applicato al mondo dell’educazione, del lavoro e delle relazioni e, infine, nella terza parte l’autore ci regala proprio delle “meditazioni” sulla felicità, cioè degli spunti più pratici e strutturati per permetterci di lavorare sul tema.

Credo che questo sia un testo che, per quanto si legga velocemente e facilmente, deve essere davvero “digerito” con calma e nel tempo, proprio perché ci lascia delle riflessioni così attuali e utili per la nostra vita che, magari, può essere funzionale rivedere in base ai momenti specifici che andiamo di volta in volta ad attraversare.

 

3 cose che ho imparato dalla lettura di questo libro:

 

 

1. La felicità è un processo.

 

Non so se ti sei mai resa/o conto che, spesso, più hai più vuoi; più raggiungi, più vuoi ottenere. Questa lettura ha riconfermato dentro di me la certezza che la felicità non può risiedere solo in ciò che abbiamo o nei traguardi che raggiungiamo.

In questo modo il rischio è quello di percepire la felicità come una sorta di meta, come un traguardo raggiunto il quale staremo bene: la trappola di tutto ciò, però, è che se vediamo la felicità come qualcosa da raggiungere non la raggiungeremo mai. Perché ci sarà sempre qualcosa di più che vorremo avere, fare, essere.

Allora, il segreto diventa proprio quello di cambiare radicalmente prospettiva: come sostiene l’autore, inizia a concepire la felicità come un percorso, un processo, un viaggio che è già fondamentale e importante in quanto tale. In questo modo, la tua felicità non sarà legata a degli obiettivi specifici che potrai “spuntare” sulla tua agenda, ma ad un modo di vivere e di essere.

Mi è rimasta molto impressa la differenza che viene fatta tra piacere, come godimento del e nel presente, e significato, come “sacrificio” in vista della realizzazione di un futuro. Quante volte pensi, magari, solo a lavorare perché senti che sarai felice solo se otterrai quella promozione? O, viceversa, quanto spesso agisci sulla base dell’impulso per ottenere una gratificazione immediata che, però, alla lunga non apporta nulla di significativo nella tua vita?

La felicità, sostiene, Tal Ben-Shahar sta nel mezzo, cioè nella capacità di trovare il giusto equilibrio tra piacere e significato, tra presente e futuro. Solo così potrai avere la certezza che stai vivendo in modo felice: e questo non significa non essere mai triste o arrabbiata/o, ma vuol dire accogliere il bello e il brutto che la vita ti regalerà con una sorta di “fiducia di base” nel fatto che puoi e devi perseguire il tuo benessere, andando magari a “bilanciare” i tuoi momenti bui con le tue riserve di luce.

 

2. Impara a trovare i tuoi happiness booster.

 

Proprio partendo dall’assunto che la felicità è fatta di piacere e significato, nel testo sono presenti diversi spunti pratici, oltre a riflessioni teoriche, in merito a come trovare nella propria vita degli “amplificatori di felicità”.

Con questo termine l’autore si riferisce a tutte quelle attività, più o meno quotidiane, che possono permetterci di ricevere piacere, ma anche scopo. Intendiamo, cioè, dei “rituali di felicità” che possono arricchire la nostra giornata, magari andando a compensare un momento di difficoltà o fatica che abbiamo vissuto.

Parliamo di piccoli gesti, come la meditazione o la gratitudine o, ancora più sul concreto, passare del tempo di qualità con le persone che amiamo, o fare un’attività che ci soddisfa e che ci fa sentire di realizzare un qualche nostro significato personale.

E, tra i vari suggerimenti, nel libro trovi proprio delle dritte su come fare: prendi nota delle tue attività giornaliere e chiediti quanto sono piacevoli e significative per te, oltre a quanto tempo dedichi realmente loro. Questo può essere un buon modo per fare il “punto della situazione” anche settimanalmente e apportare dei piccoli cambiamenti al tuo quotidiano laddove ti rendi conto che ciò che realmente fai non è in linea con ciò in cui credi e che ti dà piacere.

 

3. La felicità è relazione.

 

Ultimo punto che reputo molto importante è la riflessione su quanto lo stare in relazione con gli altri possa essere la fonte primaria e il motore del nostro benessere. Ormai diversi studi e ricerche vanno in questa direzione, e dimostrano non solo l’aspetto protettivo e preventivo dell’avere delle relazioni affettive di qualità ma anche, ed è proprio qui il bello, di donarsi agli altri.

E’ stato visto che chi si dedica agli altri, magari facendo volontariato o anche solo avendo cura in senso lato dei suoi cari, è più felice. Questo, detto in altre parole, significa che andare oltre se stessi permette, nello stesso tempo, un “ritorno di ben-essere” per se stessi: quindi, se mi focalizzo meno su di me e più sugli altri mi sentirò più appagata/o.

Questo, ovviamente, non significa né costringersi in modo finto ad occuparsi degli altri (perché non sarebbe fonte di piacere e significato), né dimenticarsi di se stessi per fare sempre e solo il bene degli altri: di nuovo, il giusto equilibrio è quello che fa la differenza in tutte le cose. E, soprattutto nella relazione, la vera felicità può arrivare dal donarsi, ma anche dal sentire di avere qualcuno che tiene a noi in modo genuino e gratuito.

 

Citazione preferita:

 

“Per realizzare, per rendere reale, il potenziale della vita in termini di valuta fondamentale, dobbiamo prima accettare il <<questo è>> - che tutto quello che c’è nella vita è il giorno per giorno, l’ordinario, i dettagli del mosaico. Viviamo una vita felice quando otteniamo piacere e significato mentre passiamo del tempo con le persone che amiamo, impariamo qualcosa di nuovo o ci impegniamo in un progetto sul lavoro. Più i nostri giorni sono pieni di queste esperienze, più felici diventeremo. Questo è tutto quello che serve”.

 

 

 E voi cosa leggerete in questa pausa? 

 

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.