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Liber-ando "Hikikomori e adolesceza"

Uno sguardo sui libri che aiutano a "liberare" il tuo potenziale


Il libro che ti racconto oggi descrive un fenomeno molto popolare in Giappone, ma diffuso anche in altre parti del mondo, che è quello degli Hikikomori.

Abbiamo già trattato l’argomento nel post precedente, per cui ti dico solo che questo fenomeno riguarda gli adolescenti che interrompono i contatti sociali chiudendosi nella loro camera per diverso tempo.

Nel testo, che si presenta come raccolta degli atti di un seminario di studi tenutosi a Napoli un po’ di anni fa, sono raccolti diversi contributi di studiosi che hanno analizzato il fenomeno, calandolo anche e soprattutto nella realtà del nostro Paese.

Testo a tratti complesso e articolato, si rivolge in primo luogo agli addetti ai lavori, anche per la cospicua presenza di esempi clinici e di prospettive di intervento proposte. Ma, nello stesso tempo, può rivolgersi anche a chi non è dell’ambiente e vorrebbe conoscere meglio questo fenomeno.

Non credo sia un testo esaustivo in relazione all’argomento e l’ho trovato a tratti ridondante e ripetitivo, ma può rappresentare sicuramente una prima forma di approccio generale a queste tematiche.

 

 

 

3 COSE CHE HO IMPARATO LEGGENDO QUESTO LIBRO

 

 

1. La ricerca dell’identità “per sottrazione”.

 

Un aspetto che mi ha molto fatto riflettere mentre leggevo è il fatto che, spesso, identifichiamo lo strutturarsi dell’identità con un’operazione “aggiuntiva”, come un qualcosa che si forma per accumuli di esperienze, che viene determinato da una sorta di forza “propulsiva” che aggiunge qualcosa dentro di noi.

Questa lettura mi ha invece fatto riflettere su quanto per gli adolescenti che vivono in Hikikomori il processo identitario si strutturi proprio nel modo opposto: è come se, proprio per affermare la propria identità, i ragazzi siano costretti a “sacrificare” delle parti di loro stessi, in questo caso quella sociale.

Il paradosso evidente è che rinunciano ad una parte di sé proprio per proteggere un’identità che, se no, sarebbe minacciata da un sistema sociale troppo omologante. Devi immaginarti un qualcosa che suona tipo: “se mi immergo nella società sparisco, se mi tiro fuori da essa vivo e sono visto”.

 

2. Entrare in punta di piedi.

 

Altro apprendimento che riconfermo da questa lettura, ma che si può generalizzare a tutte le situazioni in cui c’è di mezzo una relazione d’aiuto, è l’importanza di chiedere il permesso entrando in punta di piedi nella vita delle Persone.

Le vignette cliniche presentate e le riflessioni operative che ne sono conseguite vanno, appunto, nella direzione del rispetto profondo dell’essere umano che soffre: io terapeuta non posso impormi con la forza, ma devo chiederti il permesso per entrare. E, se è il caso, devo attendere con pazienza che tu mi metti alla prova e, solo dopo, mi fai entrare.

Nel caso dei ragazzi che vivono una situazione di esclusione sociale questo può significare stare in silenzio dando loro la libertà di parlare o meno, rispettare i loro bisogni, parlare la loro lingua usando i loro strumenti. Come raccontato nel testo, infatti, a volte viene considerata una grande vittoria anche “solo” parlare con i ragazzi via chat tramite internet.

 

3. Vedere la Persona e non il caso.

 

Un po’ in continuazione del punto precedente, leggere queste testimonianze mi ha lasciato dentro un altro ri-apprendimento: riesci ad aiutare davvero qualcuno se vedi la Persona e non il caso clinico.

Questo discorso può estendersi a tutti, nel senso che può essere un monito generale ad approcciarci agli altri non trattandoli da “poverini”, ma vedendoli come esseri umani degni di rispetto. E, ancora, questo ci può fare riflettere sull’importanza di non etichettare gli altri con giudizi affrettati, ma di andare oltre l’apparenza e gli incasellamenti di varia natura.

 

 

 

CITAZIONE PREFERITA

 

“La pratica Hikikomori e l’autoreclusione non sono indice di follia – così come non lo sono i tentativi di suicidio, le fughe, i disturbi del comportamento alimentare, i comportamenti auto lesivi o altri tipi di comportamento a rischio comuni tra le giovani generazioni – ma una particolare forma di lotta contro il male di vivere che segnala l’inadeguatezza, soprattutto durante l’età adolescenziale, della parola e del pensiero”

 

 

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.