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"Buddhismo e Psicoterapia"

I 7 "ponti" di contatto tra religione e psicologia


Un po’ di tempo fa mi sono imbattuta in un libro (te lo racconterò prossimamente) che parla di psicologia buddhista.

E cosa sarà mai? Mi sono detta frettolosamente. Vado a leggere con interesse queste “strane” pagine e mi ritrovo immersa in tutta una serie di riflessioni inaspettate che sono andate a confermare delle visioni già presenti in me.

Non sono buddhista e al momento non ho intenzione di diventarlo, ma per mia forma mentis sono portata ad aprirmi ad altre religioni, culture, o modi di vivere perché credo fermamente che si possa sempre imparare qualcosa dalle esperienze che facciamo.

Leggendo questo testo che parla, sì, di religione, ma che secondo me si concentra di più su un modo di vivere, ho trovato tantissimi parallelismi rispetto alla Psicoterapia, a ciò che succede dentro la stanza di terapia e dentro le Persone quando intraprendono un percorso di questo tipo.

Ed è stata una gran bella scoperta vedere come ci siano diversi punti di contatto tra questi due aspetti, come in qualche modo ci siano delle interconnessioni profonde che mi fanno portare a casa una grande verità: non dobbiamo restare dentro rigidi dogmi che ci fanno vedere la realtà in modo unilaterale, ma se ci apriamo al nuovo e, magari, al “diverso” possiamo sentirci comunque a casa.

Ho deciso, allora, di schematizzare alcuni dei punti salienti della psicologia buddhista legandoli al mondo della Psicoterapia, per farti vedere le possibili comunanze e i punti di contatto.

Questo può esserti utile se vuoi capire meglio cosa succede quando si lavora in terapia, ma anche se sei alla ricerca di un senso di vita e, magari, leggere questi punti può accenderti delle lampadine utili sulla direzione che vuoi dare alla tua vita.

Ovviamente non ho la pretesa di parlare approfonditamente di buddhismo perché ammetto di essere completamente ignorante in materia: prendi questo elenco come un ponte che ho voluto creare dentro di me e per te, per fare incontrare due “discipline” che apparentemente non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra e che, invece, hanno tanto da dire e da dirsi.

Ho deciso di selezionare 7 aspetti fondamentali della psicologia buddhista, usando anche qualche frase utile tratta dai testi per renderti meglio i concetti, e li legherò a delle sfaccettature simili che posso ritrovare nella Psicoterapia.

Partiamo!

 

 

Alla scoperta dei 7 ponti

 

1. Il potere liberatorio della Presenza mentale.

 

Amici miei, è tramite l’instaurarsi dell’amorevole chiarezza della presenza mentale che potete lasciar andare la presa sul passato e sul futuro, superare l’attaccamento e il dolore, abbandonare ogni ansia e ogni presa sulle cose e risvegliare un’indefettibile incrollabile libertà di cuore, qui, ora” (Buddha).

Attraverso la viva voce del Buddha apprendiamo che avere presenza mentale significa possedere una certa consapevolezza di sé, essere in contatto con noi stessi senza legarci, nello stesso tempo, a nulla.

In psicoterapia questo aspetto è legato alla capacità di sviluppare un Io osservante in grado di guardare la propria esperienza così com’è, senza farsi trascinare da essa. Questo discorso ha anche molto a che vedere con la regolazione emotiva: se sono in contatto con me, e mi so ascoltare e capire, riuscirò anche a non farmi inghiottire dal vortice delle mie emozioni e/o dei miei pensieri.

Manterrò un atteggiamento, appunto, osservante; sarò presente a me stessa riuscendo, nello stesso tempo, a guardarmi da fuori e a “regolarmi” nel migliore dei modi.

 

2. Il centro è nella mente.

 

Chi è il tuo nemico? La mente è il tuo nemico. Chi è il tuo amico? La mente è tua amica. Impara le vie della mente. Accudiscila con cura” (Buddha).

Un aspetto molto importante che deriva dalla psicologia buddhista è proprio quanto la nostra mente possa essere in grado di generare il paradiso o l’inferno. Per dirla con le parole della Psicoterapia, siamo portati per natura a generare continuamente pensieri, e la natura di questi pensieri inciderà su come ci sentiamo a livello emotivo e sui nostri comportamenti.

Un ponte di contatto molto forte è proprio il fatto che il malessere o la psicopatologia, spesso, dipendono dal nostro modo di leggere la realtà, da come interpretiamo gli eventi che ci accadono, da come rispondiamo emotivamente e cognitivamente ad essi. E, proprio per questo, è nostra responsabilità imparare a prendercene cura.

Il buddhismo insegna proprio la pratica del “lasciare andare” attraverso la meditazione. Lasciare andare significa lasciare scorrere i nostri pensieri senza ancorarci ad essi, senza farci influenzare, scollegandoci dalle implicazioni che certi pensieri disfunzionali possono avere dentro di noi.

La pratica della mindfulness è ormai parte integrante di molte tecniche terapeutiche ed è, perciò, uno degli strumenti più utili per coltivare la capacità di lasciare andare e, di pari passo alla presenza mentale, può aiutarci anche a renderci conto degli  schemi disfunzionali di cui siamo, spesso, vittime per lasciarli andare e tentare di sostituirli con altri più adattivi.

 

3. Riconoscere per riconoscersi.

 

Quando sorge una sensazione piacevole, il praticante sa che sta sperimentando una sensazione piacevole. Quando sorge una sensazione dolorosa, sa che sta sperimentando una sensazione dolorosa. Quando sorge una sensazione neutra, sa che sta sperimentando una sensazione neutra” (Buddha).

Il discorso che qui il Buddha fa sulle sensazioni possiamo farlo, in realtà, per tutta la sfera della nostra esperienza. Il riconoscimento è inteso come capacità di guardarsi dentro e di accogliere tutte le varie sfaccettature della propria esperienza, emotiva cognitiva e corporea.

E questo processo ti porta alla congruenza, cioè alla capacità di essere integrati e in linea tra mente cuore e comportamento.

Riconoscerci delle cose è il primo passo per iniziare a guardarle e prendercene cura. Spesso, invece, siamo molto difesi, facciamo fatica a guardare le nostre zone d’ombra, ad ammettere le nostre debolezze. Facciamo resistenza al pianto e al dolore, perché crediamo che se ci mostriamo in questo modo possiamo apparire deboli o vulnerabili.

Questo è un aspetto fondamentale che si apprende in un percorso di terapia: riconoscere tutta la nostra esperienza, piacevole o spiacevole che sia. Perché solo se impari a riconoscere ciò che è dentro di te, puoi poi riconoscerti e accoglierti in toto, andando verso il cambiamento di ciò che reputi disfunzionale per la tua vita.

 

4. Esercitare la Compassione.

 

Tu, la persona più ricca del mondo, hai continuato a penare e lottare all’infinito senza capire che già possiedi tutto ciò che cerchi” (Sutra del Loto).

Nel momento in cui riusciamo a riconoscere tutta la sfera della nostra esperienza potrebbe succedere che la rinneghiamo, o che non riusciamo a metterci nei nostri panni. Oppure, potremmo approcciarci in un modo rigido a ciò che sperimentiamo, mettendolo un po’ sotto esame, non prendendolo così com’è e basta.

Per farti un esempio, se arrivo a riconoscere la mia invidia in una certa situazione, e poi inizio ad arrabbiarmi con me stessa per ciò sento, non riuscirò davvero a starci e ad accogliere questo sentimento per poi lavorarci su.

La psicologia buddhista insiste molto sulla dimensione dell’amorevolezza, sulla possibilità di guardare a noi stessi e al mondo con profonda compassione, una cosa molto diversa dalla pietà.

Esercitare la compassione significa avere la capacità di guardare a noi stessi con occhi amorevoli, con comprensione e con empatia, qualsiasi cosa andiamo a trovare dentro di noi.

E questo è uno degli “esercizi” più importanti che si fanno anche in psicoterapia, un aspetto cardine del lavoro su di sé: non posso, infatti, lavorare su me stessa se mi guardo in cagnesco, se non sviluppo empatia per tutte le parti che ho dentro, se non imparo a volermi bene davvero.

 

5. Percorrere la strada dell’Accettazione.

 

Quando vedete un legno diritto non pretenderete di farne una ruota, né cercherete di fare di un legno curvo un travetto: non vorrete pervertirne le qualità innate, vorrete piuttosto fare in modo che trovi il suo posto appropriato” (Chuang Tzu).

La psicologia buddhista insiste molto sulla possibilità di percepire tutta la sfera della nostra esperienza così com’è, mettendo in pratica una sorta di accoglienza e accettazione di questa esperienza stessa.

Accettazione significa avere uno sguardo di legittimazione per noi stessi, che và al di là del fare bene o male, di un giudizio sul nostro operato. E’ da intendersi come un qualcosa di molto simile all’accettazione positiva incondizionata di Carl Rogers: riconosco che tutti gli esseri umani sono degni di rispetto e speciali per il solo fatto che esistono.

Questo è un aspetto fondamentale in Psicoterapia: attraverso l’accettazione positiva incondizionata del terapeuta, il paziente impara ad accettare se stesso e la sua esperienza, guardandosi in maniera più aperta e positiva. Questo passaggio è fondamentale in primis per acquisire una maggiore fiducia in se stessi, ma anche per mandare al nostro sistema interno il messaggio che andiamo bene così come siamo.

 

6. Non giudicarti.

 

Sviluppa una mente che sia vasta come lo spazio, nella quale le esperienze, sia piacevoli che spiacevoli, possano comparire e scomparire senza conflitto, lotta o danno” (Buddha).

Strettamente collegato al punto precedente, per la psicologia buddhista il non giudizio è legato alla possibilità di essere presenti a noi stessi senza darci dei voti, senza “pesare” l’entità della nostra esperienza, ma vivendola e basta.

La meditazione aiuta molto in questo: lasciare scorrere tutto quello che arriva da dentro e fuori di noi, guardandolo in maniera neutra, senza dare accezioni di alcun tipo, senza interpretare, senza chiederci se sia giusto o sbagliato.

Arriviamo in terapia giudicandoci tanto, e giudicando anche gli altri a volte. La società, l’educazione, i contesti in cui viviamo sono giudicanti per natura, anche se in positivo. Questo può essere molto vincolante proprio perché ci porta, inevitabilmente, a leggere la nostra vita in termini di giusto e sbagliato.

E facciamo così anche con noi stessi, con ciò che siamo, con le nostre caratteristiche, con i nostri comportamenti: in psicoterapia si lavora tanto sull’accettazione non giudicante di noi stessi, sul guardarci nella maniera più “asettica” possibile in modo da rimanere aperti e ricettivi di fronte a tutto ciò che ci arriva.

Questo è molto importante perché se imparo ad accettare ed accogliere la mia esperienza, mi approccerò alla mia vita con un atteggiamento di ascolto rispettoso e non giudicante, sia nei miei confronti che verso chi mi sta vicino. Non giudicare vuol dire processare la nostra esperienza senza ricamarci sopra, senza dare giudizi di valore, guardandola così come si manifesta di momento in momento.

 

7. Chi sei tu?

 

Se apriamo le mani, possiamo ricevere ogni cosa. Se siamo vuoti, possiamo contenere l'Universo" (Buddha)

 

 

Un aspetto molto interessante della psicologia buddhista ci dice che le nostre idee su noi stessi sono generate da varie identificazioni che facciamo nel corso della nostra vita: meno ci ingabbiamo in identificazioni, ruoli, maschere, più liberi e felici saremo.

La psicologia buddhista va, quindi, oltre quello che possiamo definire Io o Sé, perché parte dal presupposto che la nostra essenza non deve e non può ridursi a questo. In un certo senso, questo apre ad una dimensione trascendente, che và, appunto, oltre i confini di noi stessi per aprirsi ad un qualcosa di più grande.

In psicoterapia è molto importante avere un sano senso del sé: questo ha a che vedere con il governare la propria vita, lavorare, amare, creare, prendersi cura di sé e degli altri. Obiettivi fondamentali con cui “misurare”, magari, l’efficacia di un percorso personale. Ma può essere tutto qui?

In tal senso, il buddhismo può aiutarci ad andare oltre, ad avvicinarci ad un qualcosa che supera i confini del sé, che va oltre il sé per abbracciare un senso di unione con la vita, la natura, gli altri esseri viventi.

Dis-identificazione, allora, come passaggio ultimo della ricerca di senso, come possibilità di abbracciare delle dimensioni trans-personali: dimensioni che ci regalano un senso di libertà dato dalla non appartenenza, e un senso di com-unione dato dalla non separatezza della nostra essenza da quella fuori da noi.

 

 

Spero che questo “assaggio” ti sia stato utile in qualche modo e, come di consueto, condivido qui qualche testo che ho consultato per darti degli strumenti utili se vuoi approfondire. 

- “Il cuore saggio”, di J. Kornfield.

- “Psicologia buddhista e terapia cognitivo comportamentale”, di D. Tirch, L.R. Silberstein e R. L. Kolts.

- “Qui e ora”, di  J. Kornfield.

- “Dovunque tu vada ci sei già”, di J. Kabat-Zinn.

- “Psicologia buddhista e psicoterapia della Gestalt integrate. Una via per la cura del nuovo millennio”, di E. Gold e S. Zahm.

- “Mindfulness in psicoterapia. Tecniche integrate”, di S.M. Pollak, T. Pedulla e R. D. Siegel.

 

 

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.