Il circuito della dis-regolazione

Al giorno d’oggi non è infrequente sentire parlare di “disagio emotivo”, inteso come la mancanza di consapevolezza e di gestione delle proprie emozioni e dei comportamenti ad esse connessi, l’incapacità di capire le ragioni per le quali ci si sente in un certo modo, e la difficoltà a relazionarsi con le emozioni altrui.
Ed è qui che si sperimenta la “dis-regolazione”, percepita soggettivamente come un senso di essere “fuori controllo” (troppo agitati/ansiosi/attivati) o, al contrario, troppo “scarichi” o apatici (lo stato di ipo-arousal).
In soldoni, siamo disregolati nel momento in cui non siamo in grado di modificare le nostre emozioni nel momento in cui le proviamo, o di cambiare il modo in cui le viviamo o le esprimiamo.
La dis-regolazione è accompagnata da uno stato di profondo malessere soggettivo, da cui spesso si tenta di scappare, proprio perché la Persona non riesce a trovare delle strategie che le consentano di rientrare all’interno di un range tollerabile.
Possiamo immaginare questo range come una sorta di “paradiso terrestre” all’interno del quale ci sentiamo bene, siamo sereni e abbiamo un senso di padronanza di noi stessi e del nostro ambiente, pur rimanendo flessibili.
Questo paradiso viene definito in gergo finestra di tolleranza: imparare a conoscerla, riconoscendo quando usciamo dai suoi confini perché siamo iperattivati o ipoattivati e, soprattutto, riuscire ad attuare delle strategie per ritornare all’interno di questi confini rappresenta l’essenza stessa della regolazione.
La finestra di tolleranza
Daniel Siegel, autore statunitense di fama mondiale, è riuscito a rendere divulgabili alcune idee relative a complessi concetti psicopatologici come la regolazione emotiva e la neurobiologia interpersonale.
Per Siegel alla base della sofferenza psichica in senso lato ci sarebbe una mancanza di integrazione: integrazione di parti del Sé, integrazione della coscienza, integrazione tra strutture cerebrali più antiche e più recenti, integrazione tra funzionamento destrorso o sinistro del cervello. E, tra i suoi principali contributi, egli ha il grande merito di aver introdotto il concetto di finestra di tolleranza.
Osserva bene l’immagine che trovi qui sotto.

La linea sinusoidale che si osserva tra le due linee orizzontali, rappresenta il tono di attivazione neuro-fisiologica con le sue normali fluttuazioni.
Nel corso della giornata, il nostro stato di arousal si muove a tratti verso l’alto (tendendo allo stato di iper-arousal) e a tratti verso il basso (ipo-arousal), contestualmente a situazioni percepite più o meno “attivanti” o più o meno “calmanti”.
In psicobiologia il termine arousal (dall’inglese eccitazione) indica una condizione di attivazione temporanea del nostro sistema nervoso, in risposta a stimoli significativi (o percepiti come tali).
Fluttuare all’interno della finestra di tolleranza è totalmente normale, fino al punto in cui per varie ragioni il tono di arousal non superi verso l’alto o verso il basso i confini della finestra.
Dopo la nascita, l’ampiezza della finestra di tolleranza è minima: qualunque sovra o sotto-attivazione neurofisiologica vissuta dal bambino lo porterà a uscire dalla finestra (essendo la sua ampiezza molto ridotta) creando sofferenza psichica.
Uno sviluppo equilibrato, unito ad una relazione sufficientemente buona con le sue figure di riferimento, porteranno alla gestione di questo stato di frustrazione: questo vorrà dire per lui ampliare nel tempo la sua finestra di tolleranza, imparando a reggere sbalzi emotivi di portata più ampia senza però arrivare a soffrirne.
Cosa succede, invece, se qualcosa va storto in questo processo? Chi ha una finestra di tolleranza ristretta, non riesce a gestire le proprie reazioni psicofisiologiche e ne rimane sopraffatto.
Il circuito della dis-regolazione
Se ti ricordi, il mese scorso abbiamo parlato di regolazione emotiva e di come l’esperienza emozionale sia costituita da una parte di attivazione e da una, successiva, di reazione. Possiamo dire che la disregolazione emotiva interviene più a livello di reazione, nel senso che la Persona è attivata (o non attivata) dalle sue emozioni, ma non riesce poi a regolarne l’espressione.
Ciò che influisce su questo processo di riposta si riduce a due importanti componenti: la dotazione di base (di cui abbiamo già parlato) e il ruolo molto rilevante dell’ambiente di vita della Persona.
Possiamo definire dotazione di base un insieme di “caratteristiche” che rendono la Persona più o meno sensibile agli stimoli emotivi: queste caratteristiche dipendono da fattori biologici (ereditarietà, traumi, aspetti dello sviluppo intrauterino), ma anche da “tratti” che rendono la Persona più o meno attivata o che rendono la sua risposta emotiva più o meno intensa.
Un po’ come quando facciamo delle differenze tra chi ha una soglia del dolore più bassa, tale per cui prova fastidio al minimo tocco, e chi viceversa per provare dolore ha bisogno di stimoli molto più forti.
La vulnerabilità emotiva funziona un po’ allo stesso modo: ci sono Persone che nascono con una dotazione di base più “facile all’attivazione” ed altre che, invece, si attivano emotivamente con molta più difficoltà e sono meno sensibili ai movimenti emotivi sia interni che legati a fattori esterni.
Per farti capire ancora meglio, magari sei portata a commuoverti molto facilmente se vedi una scena triste al cinema, oppure di base per arrivare a piangere deve succedere proprio qualcosa di molto molto doloroso.
Ancora, la vulnerabilità emotiva può avere a che fare con l’intensità della nostra attivazione emotiva che, se troppo elevata, può appunto generare problemi di disregolazione.
La vulnerabilità emotiva si lega, poi, all’ambiente in cui nasciamo e con il quale entriamo in relazione: infatti, come abbiamo visto il mese scorso, la regolazione dipende molto da ciò che apprendiamo dalle nostre figure di riferimento.
Se, per esempio, cresciamo in un ambiente invalidante dove le nostre emozioni sono minimizzate, ridicolizzate o non viste proprio, tenderemo a funzionare in un certo modo. Se, invece, le emozioni sono vissute in modo dilagante o esplosivo saremo in un altro modo e, infine, se troviamo un ambiente che ci fa da specchio in modo sano e si sintonizza adeguatamente sulla famosa frequenza radio di cui abbiamo già parlato ci troveremo quasi sicuramente davanti ad un happy ending.
Tutto questo costituisce quello che possiamo definire il circuito della disregolazione, parola utile ad indicare che quella della disregolazione non è una storia poi così lineare: immaginala più come un percorso fatto da diversi elementi concatenati che, insieme, contribuiscono al risultato finale.
Quando parliamo di regolazione o disregolazione emotiva, perciò, dobbiamo considerare una serie di fattori interni ed esterni alla Persona e, soprattutto, come questi stessi fattori interagiscono tra loro.
Ecco uno schema della disregolazione emotiva.

Per riassumere in modo più discorsivo come funziona il circuito della disregolazione possiamo dire che il punto di partenza è la nostra costituzione di base che va, poi, ad interagire con l’ambiente nel quale viviamo: questo va a connotare come sarà la nostra attivazione e reazione emotiva di fronte ad un qualche stimolo.
Ad un certo punto si verifica un evento scatenante, che possiamo definire come un evento o situazione che si verifica appena prima dell’inizio di un’emozione.
Gli eventi scatenanti possono essere interni (cambiamento di umore, fastidio per qualcosa, sintomatologia fisica che incide sull’umore) o esterni (evento fuori da noi che scatena un’emozione) e, intersecandosi con la nostra vulnerabilità emotiva di base e con le caratteristiche dell’ambiente in cui siamo inseriti, determinano una certa reazione emozionale, unita ad una certa lettura che poi diamo dell’evento in sé.
Spesso, infatti, è proprio l’interpretazione dell’evento stimolo a scatenare le emozioni. Per interpretazione intendiamo le convinzioni, i pensieri, le valutazioni o le ipotesi su un evento. Il risultato della combinazione di tutti questi fattori causa l’uscita dalla nostra finestra di tolleranza.
Sul fronte dell’iperattivazione potremmo provare molta ansia, avere scoppi di rabbia incontrollati o crisi di pianto esagerate. Sul fronte dell’ipoattivazione si genera un blocco totale dell’emozione, una sorta di dissociazione o un congelamento generale che determina una apparente non risposta.
Facciamo, quindi, la vera e propria esperienza emozionale che, come abbiamo visto nei post scorsi, è caratterizzata da specifiche sensazioni anche corporee e da un certo tipo di espressione. L’emozione, infine, ci prepara in un certo senso all’azione e determina delle conseguenze.
Infatti, nel nostro momento di disregolazione ciò che cerchiamo di fare è diminuire il disagio emotivo che sentiamo: ecco che, allora, potremmo adottare dei comportamenti disfunzionali (come il bere, l’abbuffarsi, l’autolesionismo, la dissociazione) per “sedare” in qualche modo lo sconvolgimento interno che stiamo provando.
L’ambiente, dal canto suo, rinforza negativamente le nostre reazioni e ci fa apprendere sempre di più che non andiamo bene, che il nostro modo di essere non è adeguato, e ci fa crollare ancora di più in uno stato di malessere e non accettazione.
Questo stato, ancora, determina un’altra attivazione emotiva e il circolo riprende tale e quale.
Nel prossimo post andremo a vedere più nel dettaglio quali sono le conseguenze della disregolazione emotiva e, nel frattempo, ti lascio qualche titolo utile se vuoi approfondire:
- “Restare in piedi tra le onde” di Gennaro Romagnoli.
- “Crisi tempestose. Gestire e ritrovare la serenità” di Federica Carbone.
- “Attraversare le emozioni. Vol. 1: Neuroscienze e psicologia dello sviluppo” di D. Fosha, D. Siegel e M. Solomon.
- “La mente relazionale. Neurobiologia dell'esperienza interpersonale” di D. Siegel.
Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.