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Regolazione emotiva e dintorni

Siamo dis-regolati, e adesso?


Come abbiamo visto nei post precedenti, la regolazione delle emozioni è strettamente legata alle esperienze di relazione.

Modalità disorganizzate non permettono coesione e continuità, ma mantengono attivazioni caotiche della mente, mentre esperienze di relazioni evitanti o traumi, costruiscono equilibri troppo rigidi di controllo emotivo che limitano lo sviluppo della complessità del sé.

Purtroppo gli eventi avversi non possono essere controllati: esperienze avverse precoci compromettono la nostra finestra di tolleranza, il che significa che chi ha subito abusi emotivi o fisici durante l’infanzia, da adulto avrà una maggiore tendenza ad essere sopraffatto con una soglia di tolleranza facile da superare.

Potremmo dire che ci sono diversi “tipi” di disregolazione, che hanno a che vedere anche con quale estremo della finestra di tolleranza tendiamo a sconfinare.

Se siamo più sul fronte dell’iper-attivazione ci troveremo davanti ad una risposta di attacco o fuga. Gli indicatori saranno ansia,  sensazione di essere sopraffatti, risposte caotiche, aggressività, crisi di rabbia, esplosione emotiva, rigidità, comportamenti ossessivi, alimentazione compulsiva, impulsività, dipendenze.

Se, viceversa, ci troviamo sul fronte dell’ipo-attivazione avremo il freeze, una risposta che prevede apatia, dissociazione, assenza mentale, indisponibilità emotiva, difficoltà di memoria, difficoltà di concentrazione, compartimentazione, vivere con il pilota automatico, alessitimia, sensazione di vuoto.

Tutti questi aspetti sono legati anche ad una importante teorizzazione degli ultimi anni, che può aiutarci ancora di più a comprendere il meccanismo della dis-regolazione: la Teoria Polivagale di Stephen Porges.

 

La teoria polivagale

 

Devi sapere che il nostro Sistema Nervoso Autonomo, nella maggior parte dei casi, ci permette di rispondere in maniera automatica ad una domanda ben precisa: “adesso sono al sicuro o in pericolo?”. E non fa altro che trasmettere e ricercare segnali di sicurezza o pericolo dall’ambiente interno ed esterno a noi.

Questo perché nel corso dell’evoluzione della specie si è strutturato un impulso alla sopravvivenza, ma anche un desiderio di connessione e sicurezza.

Come abbiamo già visto all’inizio di questo ciclo di post, ogni volta che reagiamo ad uno stimolo attiviamo un sistema di riposta emotivo che è fuori dalla consapevolezza e inizia prima della valutazione cosciente dello stimolo stesso. Infatti, questa attivazione, che potremmo definire neurofisiologica, avviene così rapidamente da non poter essere percepita a livello consapevole.

Questa attivazione è fondamentale perché ci fa identificare un possibile allarme o pericolo al quale dovremo, poi, rispondere attivando tutta una serie di sistemi interni e comportamentali. Questo processo di “valutazione dello stimolo” è chiamato neurocezione, ed è plausibile che la soglia di attivazione dell’allarme si sposti in alto o in basso a partire da fattori soggettivi (storia personale di attaccamento e/o fattori temperamentali).

Postulato questo, la Teoria Polivagale ci dice che, a seguito del processo di neurocezione, esistono tre possibili risposte che usano tre canali neurali differenti. Adesso non voglio farti un pippone noioso che sarebbe sterile per il nostro discorso, ma devo per forza raccontarti due cose.

Il nostro Sistema Nervoso Autonomo è composto da due parti: il sistema Simpatico e quello Parasimpatico. Il Simpatico è un sistema che coinvolge i nervi spinali (quelli che hanno origine nella colonna vertebrale) e serve principalmente a regolare cuore e respirazione. In situazioni di sopravvivenza si attiva per la “mobilitazione”, cioè ti predispone ad un’azione di qualche tipo di fronte ad una minaccia.

Quello Parasimpatico ha come componente fondamentale il nervo Vago, che è un nervo cranico (del cervello) che “vaga” appunto, e dal cervello si dirama in tutto il corpo creando diverse connessioni.

Abbiamo il Vago Ventrale che si collega a tutte le parti del corpo al di sopra del diaframma e il Vago Dorsale che si connette alle parti sotto il diaframma. Il primo lavora per mantenere la salute e l’omeostasi del nostro corpo, il secondo lavora per permettere una digestione efficace, ma anche per favorire risposte di sopravvivenza in termini di “conservazione”, di risparmio di energia per intenderci.

Tornando alle possibili riposte che mettiamo in atto in modo automatico in relazione ad uno stimolo, il primo canale esistente, che è anche il più recente a livello evolutivo, è quello del sistema Ventrovagale.

Questo sistema si attiva quando lo stimolo è interpretato come non pericoloso o moderatamente attivante: viene coinvolto il nervo Vago Ventrale (te l’ho presentato appena adesso!), che rappresenta un po’ la parte “social” del Sistema Nervoso Autonomo. E’ quello che ci permette di essere in connessione sicura con il nostro corpo, di regolarci emotivamente, di co-regolarci attraverso il rapporto con gli altri, di dare e ricevere supporto. Ha anche la funzione di modulare le risposte del Sistema Nervoso Simpatico “frenandone” l’attivazione.

Un po’ come dire che, quando è in funzione questo sistema, rispondiamo allo stimolo che ci ha attivato cercando la connessione con gli altri e con il mondo e, soprattutto, rimanendo centrati all’interno della nostra finestra di tolleranza senza sconfinare, proprio perché riusciamo a regolarci.  

A metà strada in termini evolutivi, troviamo poi il Sistema Nervoso Autonomo Simpatico che si attiva quando, attraverso la neurocezione, interpretiamo lo stimolo come molto pericoloso. Le risposte che mettiamo in atto sono due: in un primo momento cerchiamo la fuga; poi, quando questa non è possibile, produciamo un attacco: questa risposta è primitiva ed è definita di attacco/fuga (in inglese flight/fight).

Questa riposta conduce idealmente ad una mobilizzazione, ad un movimento, ed è una risposta di tipo “non sociale” proprio perché non tiene conto dell’altro: questo accade proprio perché una tale risposta si attiva nel momento in cui quella più adattiva, cioè l’ingaggio sociale, non funziona.

Potremmo avvicinare l’attivazione di questo circuito a quello che succede quando oltrepassiamo la nostra finestra di tolleranza in senso “iper”, come già detto prima.

Infine, il più antico sistema è quello Dorsovagale, che si attiva quando  lo stimolo è soverchiante e il rischio di vita è reale. Il Sistema Nervoso Autonomo Parasimpatico mette in atto una risposta molto antica, attivando la via del Nervo Vago dorsale: tutti i sistemi di risposta sono bloccati, collassano sia quelli della mobilizzazione (attacco e fuga), sia quelli dell’attivazione pro-sociale.

Questo produce il cosiddetto comportamento di feigned death (finta morte): evolutivamente la finta morte ha avuto una funzione di difesa estrema in caso di situazioni eccessive e soverchianti, pensa all’animale che si finge morto per non essere attaccato.

Durante questo tipo di reazione la Persona sviene, oppure vengono prodotti sintomi di natura dissociativa in cui la mente si distrae da sé stessa, annullandosi, e vengono immobilizzati tutti gli organi sotto il diaframma (che sono quelli innervati dal Nervo Vago Dorsale). E, se ci pensi, questo tipo di attivazione neurofisiologica è alla base della dis-regolazione emotiva di tipo “ipo”.

L’aspetto fondamentale di tutto questo discorso è che queste tre differenti risposte possono essere messe in atto quando sperimentiamo un trauma a diversi livelli: infatti, la nostra neurocezione (cioè la risposta fisiologica allo stimolo traumatico) dipenderà moltissimo dalla nostra storia di vita, nel senso che è collegata a quello che abbiamo già vissuto in passato e alle relazioni che abbiamo avuto, ed è assolutamente soggettiva.

Quindi, il modo con cui reagiremo agli stimoli stressanti nella nostra quotidianità e il livello di dis-regolazione emotiva che avremo ci darà molte informazioni importanti sul nostro stile prevalente di modulazione della risposta.

Ovviamente, la possibilità di rispondere seguendo tutte e tre le vie in modo adeguato e proporzionato al contesto rappresenta il giusto modo di affrontare le difficoltà nel quotidiano.

Per intenderci, immagina che questi tre sistemi di attivazione rappresentino le parti di una scala: se sei in grado di salire e scendere la “scala” in maniera fluida in base alle necessità sei regolato, viceversa se prevarrà sempre una sola modalità in maniera rigida le cose non funzionano proprio nel modo giusto.

Ti metto qui un’immagine per rendere l’idea.

 

 

Come ti renderai sicuramente conto, possiamo facilmente fare un parallelismo con la regolazione emotiva: il problema non è uscire dalla finestra di tolleranza, perché a volte può essere anche necessario farlo. Il problema è non riuscire a rientrare nella finestra quando superiamo i confini, o essere rigidi nel modo in cui ci muoviamo in questo “sali- scendi”.

Abbiamo visto, perciò, come si può “tradurre” la dis-regolazione anche in termini di attivazione neurofisiologica, e questo è molto importante perché ci fa capire quanto psiche e cervello siano interconnesse.

Abbiamo anche capito cosa significa essere regolati emotivamente e che cos’è la dis-regolazione emotiva  come fenomeno in sé. Ti starai, però, chiedendo che cosa vuol dire, in modo più terra terra, essere dis-regolati: cosa succede esattamente?

 

Le manifestazioni della disregolazione

 

Quando parliamo di dis-regolazione non ci riferiamo ad un solo aspetto: quello della disregolazione è un campo molto vasto, con diverse sfaccettature, che vanno poi a connotare una determinata difficoltà psicologica piuttosto che un’altra, proprio sulla base delle caratteristiche di tale dis-regolazione.

Abbiamo visto prima come nelle nostre risposte emotive possiamo muoverci da uno stato di attivazione normale ad uno di iperattivazione fino ad arrivare all’ipoattivazione.

Ma la disregolazione non è solo strettamente legata alla modulazione delle emozioni: le emozioni sono collegate alle relazioni, anzi azzarderei quasi che il motore principale da cui partono le emozioni sono le relazioni stesse, sia con noi stessi che soprattutto con gli altri.

Ti dico questo per invitarti a percepire la disregolazione come una concatenazione di fattori che, a conti fatti, identificano una Persona nella sua totalità.

Collegata alla disregolazione emotiva è la disregolazione del senso di sé, intesa come una sensazione di “confusione” rispetto a chi si è e chi si vuole essere. Disregolazione del senso di sé è quel senso di vuoto che hai quando non sai più cosa ti anima nella vita, qual è il tuo scopo, cosa ti piace e che caratteristiche hai tu come Persona.

Questo ha a che vedere con uno sviluppo problematico dell’identità, in un contesto nel quale magari le nostre figure di riferimento non ci hanno rimandato un’immagine costante e coerente di noi stessi. O, ancora, non ci è stato permesso di individuarci staccandoci dalle loro “condizionalità” per diventare Persone libere e con un senso di identità definito.

Succede, magari, in quelle situazioni caotiche, dove i nostri stessi caregiver sono stati imprevedibili e ci hanno mostrato parti di loro sempre diverse: questi continui “cambi” ci hanno messo nello stato di allerta di chi non sa quale parte di mamma o papà si manifesterà in un dato momento e, di conseguenza, quale immagine di sé vedrà riflessa negli occhi delle sue figure di riferimento.

Tutto questo ha delle importanti ripercussioni sulla regolazione delle emozioni, perché se non ho un senso di coerenza interna e un Sé definito non potrò nemmeno permettermi di abbracciare le emozioni più complesse senza evitarle, ma interrogandole.

Collegato a questo abbiamo anche una disregolazione comportamentale, che si esplica in comportamenti che vanno al di fuori del range di tolleranza, causando disagio a tutto il sistema. Qui mi riferisco, per esempio, a tutti quei comportamenti collegati all’abuso di sostanze, alla guida spericolata o alle abbuffate, al sesso promiscuo, alle dipendenze in genere o all’autolesionismo.

Ancora, se non stai bene emotivamente parlando non potrai mai pensare che le tue relazioni non ne risentano: c’è sempre un collegamento tra la nostra capacità di gestione o non gestione emotiva e il nostro modo di comportarci.

Ancora, possiamo assistere a varie forme di disregolazione interpersonale, intesa come “incostanza” nelle relazioni e nell’impegno con esse, sia come ritiro dalle relazioni, sia come aggressione verso l’altro se ti dice qualche no ogni tanto.

Questi “tipi” di disregolazione sono difficili da modificare, ma sicuramente posso affermare che se impari a regolarti a livello emotivo poi tutto il sistema mentale si riassesta, e questo incide ovviamente sui nostri comportamenti (regolazione comportamentale), su ciò che pensiamo davvero di noi stessi (regolazione del Sé) e sulle nostre relazioni (regolazione interpersonale).

E perché è molto importante sviluppare una sana consapevolezza dei nostri processi e di ciò che ci accade dentro? Perche senza questa consapevolezza non potremmo salire e scendere i gradini immaginari della scala che ti ho mostrato prima.

Questo perché regolazione fa un po’ rima con fluidità e armonizzazione: un sistema mentale che funziona non è perfetto, è “solo” in grado di non irrigidirsi rispetto all’esperienza interna/esterna che fa e di mantenere, nonostante tutto, un certo livello di “consolazione” e supporto caloroso.

A volte si dice che per cavartela con le emozioni sia sempre meglio evitarle stando su altro; io ti dico l’esatto opposto: è l’evitamento che ti porta all’iper o ipo arousal, impedendoti di “attraversare” le tue emozioni, mettendoti in gioco davvero e gestendole in maniera funzionale.

Dobbiamo imparare, quindi, a modulare la nostra esperienza emotiva dandole il “permesso” di muoversi liberamente dentro e fuori da questa finestra di tolleranza, riuscendo anche a riportarsi al punto zero nel momento in cui ci si rende conto che è troppo o troppo poco. 

 

Si può imparare tutto questo? Credo proprio di si! Nei prossimi post parleremo nello specifico delle strategie di regolazione emotiva e degli step che contribuiscono a farci acquisire questa facoltà e a potenziarla nel tempo.

Intanto ti lascio come sempre qualche libro utile se vuoi approfondire:

 

- “Restare in piedi tra le onde” di Gennaro Romagnoli.

- “Crisi tempestose. Gestire e ritrovare la serenità” di Federica Carbone.

 - “La teoria polivagale e lo sviluppo del bambino. Sistemi di cura per rafforzare bambini, famiglie e comunità”, di M. R. Sanders e G. S. Thompson.

 

- “Ancoràti. Come familiarizzare con il vostro sistema nervoso autonomo attraverso la teoria polivagale”, di D. Deb.

 

 

 

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.