· 

Parlare di morte ai bambini

Sei cose da non fare


Nel corso di queste ultime settimane abbiamo parlato del lutto, e abbiamo visto quali possono essere le fasi della sua elaborazione e i modi più funzionali per affrontare il dolore di una perdita.

La morte, purtroppo, investe anche la vita dei più piccoli che, volenti o nolenti, si ritrovano accanto agli adulti proprio durante i momenti di lutto e sofferenza.

Non sempre parlare della morte ai bambini è una cosa facile, tanto più se i primi ad avere difficoltà a trattare l’argomento siamo noi adulti.

Invece, riuscire ad affrontare con i più piccoli determinati temi più favorire un corretto sviluppo psico-affettivo, evitando che esperienze di per sé traumatiche come quelle legate alla morte possano diventare fonte di disagio perché rimaste non elaborate. Questo discorso vale sia per i bambini che fanno a qualche livello esperienza della morte, sia per i bambini che non ne hanno ancora fatto esperienza diretta.

Infatti, di solito a partire dai 4/5 anni, i bambini iniziano a chiedersi tutta una serie di cose rispetto alla natura, agli esseri umani, a come funziona il mondo in genere. E, anche se non vengono direttamente esposti ad una situazione di lutto, potrebbero iniziare a fare domande particolari legate alla morte, a cosa c’è dopo, al fatto che i genitori li lasceranno soli e simili.

E, ancora di più, diventa di primaria importanza parlarne (per quanto doloroso sia) se i bambini si trovano ad affrontare in prima persona separazioni e perdite in genere.

 

Ci possono essere innumerevoli punti di vista rispetto a se e come parlare della morte ai bambini: per questo, tengo a sottolineare che, se vi trovate in una particolare situazione di perdita, quello che è sempre meglio fare è seguire il vostro istinto di genitori (o educatori, nonni, zii ecc …) perché, senza dubbio, saprete meglio di chiunque altro cosa è più funzionale per i vostri bambini.

Nonostante questo, però, mi sento di dare alcune brevi indicazioni che, in base alla mia esperienza, reputo possano essere utili nel caso in cui vi ritrovaste ad affrontare il tema del morire con i vostri bambini.

Voglio fare questo trattando l’argomento nei termini del “cosa non fare”. Primo, perché se avete una buona relazione con i vostri figli saprete senza dubbio cosa fare per alimentarla e sostenerla anche in questi tristi momenti; secondo, perché focalizzare il tema su cosa è meno indicato fare potrebbe permettervi di “ritararvi” rispetto al vostro stile, alle vostre credenze, ai vostri valori e alle persone che siete in genere, andando ad aggiungere il resto sulla base della situazione specifica e della vostra esperienza diretta.

 

Detto questo, andiamo a vedere nello specifico cosa è meglio evitare di fare quando parliamo di perdita con i nostri figli.

 

1. Non essere evasiva/o.

 

Quando ci ritroviamo a dover affrontare dei temi difficili con i nostri figli ci sembra nell’immediato più facile evitare il discorso: “lo capirai quando sarai grande” o “questi sono discorsi da grandi” diventano, a volte, una sorta di salvavita momentaneo per evitare discorsi scomodi. Ma, in questo caso, chi stai proteggendo? Te stessa/o o il tuo bambino?

Di fatto, fare in questo modo passa ai bambini il messaggio che ci sono cose che non si possono dire e che è meglio tenersi tutto dentro, quindi che sono soli: il rischio è che in seguito non saranno più disposti a parlare con voi pensando che non possiate ascoltarli o comprenderli. E il non detto, purtroppo, può diventare molto più traumatico della più brutta delle verità.

Senza considerare il fatto che, se deciderete di parlare con i vostri bambini, trasmetterete un forte senso di sicurezza e fiducia: fiducia nel fatto che le cose si possono dire, che si può essere ascoltati, consolati e rassicurati, che ci si può sentire accolti nelle proprie domande e nelle proprie paure.

 

2. Non dire bugie. 

 

Altra grossa difficoltà che viene fuori quando si affrontano certi temi è quella di dire la verità: “il nonno si è trasferito” oppure “la zia si è addormentata”, diventano spesso frasi tipo in questi casi. Il rischio di non essere sinceri è quello di passare dei significati ambigui e confusivi ai bambini.

Se ci pensi, dire che il nonno si è trasferito può innescare interrogativi rispetto a quando tornerà o al perché è andato via (e spesso i bambini tendono a colpevolizzarsi …), o dire che la zia si è addormentata potrebbe suscitare paure in merito alla notte e al dormire.

Con questo non intendo dire di essere brutali, ma di sforzarci il più possibile di essere sinceri. Meglio dire prima la verità e poi rafforzare la speranza con l’uso di metafore o storie (questo dipende molto anche dal credo personale di ognuno rispetto alla morte …), che inventare delle storie nascondendo la realtà.

A questo proposito una grandissima risorsa può arrivare dall’uso delle favole e di spunti di lettura che trattino dei temi difficili sotto forma di storia o gioco: usare questi strumenti può essere un validissimo ausilio per aiutare i bambini a comprendere cosa succede intorno a loro ma, soprattutto, per esprimere i loro vissuti.

 

3. Non nascondere le emozioni dolorose.

 

Altra questione su cui ci si interroga spesso è se sia più idoneo o meno nascondere le proprie emozioni: tristezza, amarezza, rimpianto, dolore, rabbia, nostalgia vengono puntualmente mascherate. Magari dicendo con gli occhi pieni di lacrime che non è niente, o sorridendo in maniera falsa quando dentro si vorrebbe urlare.

In questo modo passerete il messaggio che ci sono emozioni “buone” ed emozioni “cattive” (e non può esistere cosa peggiore!), facendo intendere che si possono manifestare solo quelle “buone”. Insegnare ai bambini che, invece, qualsiasi emozione ha pieno diritto di cittadinanza è una grande lezione di vita, oltre che di intelligenza emotiva.

Vedere che si può anche soffrire può insegnare che questo è lecito, ma soprattutto che tutti noi possiamo stare male e poi riprenderci, che possiamo essere sostenuti quando proviamo delle emozioni difficili e che non dobbiamo tenerci tutto dentro.

Di nuovo, il buon senso deve farla da padrone: un conto è esporre i vostri figli a lancinanti grida di dolore, o portarli ad un funerale dove si prevedono scene strazianti. Altro è negare di essere giù o sforzarsi di apparire sereni a tutti i costi.

 

4. Non usare teorizzazioni.

 

Quando si affrontano tematiche scottanti si tende ad usare intellettualizzazioni o a “fare filosofia” quasi come se in questo modo si potesse tenere più a bada il dolore: girare attorno ad una cosa o usare inutili paroloni per farla sembrare più difficile di quanto già non sia non è utile.

Sarebbe meglio usare un linguaggio il più possibile concreto e naturale, spiegando le cose così come viene senza, però, dimenticarsi di essere delicati. Ecco che dire che “una parte del corpo della nonna non funzionava più bene e per questo il suo cuore ha smesso di battere” è diverso dal dire che “la nonna ha avuto un infarto del miocardio, è morta sul colpo e sono cose che succedono”.

Chiaramente ho fatto un esempio assolutamente banale e riduttivo, ma questo per dirti di cercare di affrontare l’argomento nel modo più semplice e diretto possibile, ma senza essere brutale e sbrigativa/o.

 

5. Non essere rigida/o.

 

Scegli di farti guidare dalle domande o dalle esternazioni del tuo bambino, invece che dallo “schema” del tuo discorso. Ciò significa provare per un attimo ad uscire fuori da ciò che pensi sia meglio dire, fare o spiegare, cercando di immedesimarti con quello che può provare tua/o figlia/o di fronte a ciò che succede.

Accoglienza, ascolto ed empatia devono essere gli ingredienti principali quando si parla di questioni così tanto delicate con i bambini.

 

6. Non soffocare la speranza.

 

Ultimo punto, ma forse il più importante, è quello di alimentare sempre e comunque la speranza. A prescindere che tu creda o meno in una vita oltre la morte e simili, è fondamentale che passi il messaggio che il legame del bambino con la persona che ha perso non finirà mai.

Se sei credente passerai questo messaggio in un determinato modo, se non lo sei fa lo stesso: questo significa permettere ai bambini di re-investire sul legame. Un legame che diventa relazione in assenza invece che in presenza, ma che resta pur sempre una relazione. Del resto se ci pensi, il processo del lutto serve proprio a superare la perdita andando a “ristrutturare” la relazione stessa, interiorizzandola.

Questo può tradursi nell’aiutare i più piccoli a ricordare dei momenti belli passati insieme alla persona scomparsa, o nel far vedere cosa resta di quella persona in termini di insegnamenti e valori, o a fare attenzione a come alcuni atteggiamenti della persona morta siano rimasti anche tra di voi, o come certe abitudini che aveva siano diventate parte integrante delle abitudini della vostra famiglia e via dicendo.

 

Finisco il discorso con un corollario che fa da cornice a tutto quello che ho scritto fino ad ora: non smettere mai di interrogarti su cosa vuol dire per te morte e perdita. Prova a “fare pace” con questi argomenti, ancora di più se, per fortuna,  non ne sei interessata/o direttamente al momento.

Solo se tu avrai “digerito” alcune esperienze della tua vita potrai avvicinarle con umiltà e semplicità insieme ai tuoi bambini.

 

Infine, soprattutto perché parliamo di bambini, credo che un grandissimo aiuto per affrontare queste tematiche possa venire dal gioco e dalle letture che, molto spesso, ci aiutano a comprendere e ad avvicinarci a questioni difficili molto meglio di tante spiegazioni astratte.

Per questo, ti elenco di seguito una serie di libri adatti ai bambini e anche alcuni titoli utili per gli adulti che si ritrovano a dover parlare della morte con i bambini:

 

- “Lacrime che volano via”, di Sabine de Greef (dai 3/4 anni).

- “Io dopo di te. Una storia per aiutare i bambini ad affrontare la perdita di una persona cara”, di Alberto Pellai (dai 5 anni).

- “Aiutare i bambini a superare lutti e perdite. Attività psicoeducative con il supporto di una favola”, di Margot Sunderland.

- “La nonna è ancora morta? Genitori e bambini davanti ai lutti della vita”, di Alba Marcoli.

- “Ai papaveri non piace appassire. Dedicato ai genitori che vogliono parlare ai bambini del fine vita”, di Francesco Campione.

 

 

Adesso ti saluto davvero, con l’augurio che tu possa imparare a fidarti del fatto che puoi so-stare nella scomodità del dolore, magari insegnando agli altri a fare lo stesso.  

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.