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"Non ci vedo più dalla rabbia!"

Come guardare la rabbia con altri occhi


Sei per strada in macchina e, per poco, un altro automobilista non ti tampona: allora inizi ad urlargli a squarciagola le peggio parole del tuo repertorio e dai un’accelerata giusto per “scaricare” un po’ la tensione.

O, ancora, stai parlando con il tuo capo che ti fa un appunto sul tuo lavoro e, poco dopo, tratti malissimo il tuo dipendente perché sei nervosa/o per quello che ti è stato detto.

Oppure, stai litigando con la tua metà e inizi a dare pugni ad una porta.

Questi sono solo degli esempi, più o meno “estremi”, per parlare di un’emozione che spesso è difficile da trattare.

E lo è perché la maggior parte delle volte non si presta a mezze misure: o viene completamente allontanata, o viene espressa in maniera eccessiva e potenzialmente distruttiva per sé e per gli altri.

Ma andiamo per gradi, e proviamo a riflettere insieme su che cosa è la rabbia.

 

Esplorare la rabbia

 

Partiamo con il dire che la rabbia è un’emozione: la rabbia in senso specifico ha, infatti, un’origine e una durata ben precisa, quindi è un qualcosa che può avere diversi livelli di intensità e che poi, per forza di cose, si esaurisce.

Spesso, invece, si tende a confondere la rabbia con sentimenti direttamente collegati ad essa come l’ostilità o la frustrazione, l’aggressività o il risentimento e via dicendo, considerandola una sorta di “stato perenne” di cui si è in qualche modo vittime. In quest’ottica la rabbia diventa un qualcosa da controllare continuamente, proprio perché si ha la visione non sempre corretta che, se si esprime la rabbia, poi si perde il controllo.

Devi sapere, invece, che la rabbia è una delle sei emozioni di base, universali e innate, che, in quanto tale, è fisiologica e adattiva.

Anche se questo può sembrarti strano, la rabbia è assolutamente “naturale”: è, cioè, la normale e ancestrale reazione di risposta ad una minaccia, interna o esterna che sia.

Questo, tradotto ai nostri giorni (dove non ci sono più pericoli naturali di grossa portata, come poteva essere per l’uomo delle caverne), significa che la rabbia può attivarsi in tutte quelle situazioni in cui senti una violazione.

E per violazione possiamo intendere degli atti che violano la tua persona e il tuo modo di essere, il tuo spazio o i tuoi valori. Se ci fai caso, ti arrabbi spesso e volentieri quando senti che, in qualche modo, qualcuno o qualcosa non ti sta rispettando, ti sta ostacolando, non ti sta facendo sentire al sicuro. Se ci pensi un attimo, la tua rabbia arriva sempre non solo per “proteggerti”, ma anche come primo tentativo di farti rispettare e, quindi, di “riparare” il torto subito.

La rabbia, poi, è un’emozione multi componenziale, nel senso che coinvolge profondamente tutta la tua persona a diversi livelli: corpo (tensione fisica, denti serrati, braccia contrate, pugni chiusi e via dicendo), pensieri (ruminazione sul torto subito e sui tentativi di risolvere la questione), comportamento (agito più o meno aggressivo, scarica motoria della tensione e simili).

Per questo, è una scarica di energia che spesso avviene tramite la parola ma, purtroppo, può prendere anche le sembianze di un agito comportamentale di varia intensità legato, per esempio, a lanciare o colpire oggetti o a ferire fisicamente qualcuno oppure, ancora peggio, può essere rivolto verso noi stessi.

Il punto, allora, non è sulla disfunzionalità della rabbia in senso lato: la rabbia in sé è profondamente adattiva e, se ben canalizzata, può essere anche un’ottima risorsa personale. Diventa un “problema” nel momento in cui non viene gestita, sia in senso eccessivamente espressivo che nel senso opposto.

Puoi, infatti, avere una tendenza a soffocare la tua rabbia reprimendola o, viceversa, puoi avere un’estrema espressione di questa emozione che diventa, perciò, fuori controllo. E questo dipende molto dalla tua storia, da ciò che hai imparato rispetto alla rabbia e dai significati che si celano dietro la sua espressione o non espressione. In questo senso, possiamo dire che la rabbia è un’emozione in qualche modo “relazionale”, sia per le sue modalità di espressione che per il modo in cui si origina.

 

La rabbia è “relazionale”?

 

Se proviamo a ragionare sullo sviluppo di un bambino nei primi anni di vita, vediamo che inizialmente la via primaria per esprimere una frustrazione è il pianto. Se il bambino ha fame, banalmente, piange. E se, crescendo, inizierà a percepire una “violazione” di se stesso a vari livelli tenderà anche lui ad arrabbiarsi.

E il punto di svolta arriva proprio qui: nel momento in cui avrà accanto a sé un genitore in grado di accogliere e tollerare il suo pianto, o le sue manifestazioni di rabbia più elaborate man mano che cresce, il piccolo sentirà che la rabbia può essere manifestata oltre che contenuta e regolata.

La prima funzione di regolazione della rabbia, come di ogni altra emozione, è a carico delle figure di riferimento proprio perché un bambino piccolo non ha delle funzioni mentali così elaborate per esercitarla da solo. Sarà, quindi, l’adulto che calmerà il suo piccolo, che gli permetterà di trasformare magari in parola uno stato interno più o meno difficile da tollerare, che gli permetterà di trovare le strategie di risoluzione del problema per lui più attuabili.

E fin qui tutto bene, ti starai dicendo. Se, invece, nel momento in cui il bambino inizierà a manifestare rabbia o frustrazione, vedrà che le sue emozioni non sono ben accette inizierà a non manifestarle più. Magari, da adulto avrà delle malattie psicosomatiche, o farà fatica ad affermarsi o tenderà, viceversa, ad essere sempre in tensione e in iperattivazione aggressiva alla minima critica o torto subito.

Questo per dire che la nostra famiglia è il primo e fondamentale teatro nel quale si sperimenta se e come le emozioni hanno diritto di asilo ed espressione: in ogni famiglia, per esempio, ci saranno delle emozioni più tollerate, e quindi più espresse, di altre e via dicendo. Saranno i genitori i primi “regolatori” del termometro della rabbia nel loro bambino, e saranno sempre loro i “responsabili” della sua crescita emozionale in genere.

Una questione molto delicata, poi, si verifica nel momento in cui, purtroppo, il bambino subisce degli abusi importanti dal punto vista fisico, sessuale o emotivo: chi doveva proteggerlo e regolarlo diventa la fonte primaria delle sue emozioni complicate e difficili da comprendere.

Le cose si complicano proprio perché, spesso e volentieri, non solo il piccolo verrà “punito” se solo tenterà di ribellarsi esprimendo il suo disappunto ma, questa è forse la dinamica più tipica, penserà che ciò che riceve è ciò che si merita.

Questo perché è molto meno terrificante per un bambino piccolo pensare che mamma e papà sono ok e che, invece, è lui il problema: se inizio a pensare che, in realtà, la minaccia arriva proprio dalle persone da cui dipendo, io inizio a sentire che posso morire, sia in senso fisico che mentale.

Ed ecco che, allora, per proteggersi il piccolo “preferisce” iniziare a pensare che ciò che lui sente è sbagliato: almeno in questa maniera l’immagine di mamma e papà è salva, ed è salvo anche lui di riflesso perché ha scelto il “male minore”.

Tutto questo si può, per esempio, tradurre nel rivolgere la rabbia non più verso l’esterno, ma contro se stessi, diventando adulti depressi o adolescenti che fanno abuso di droghe, o scaricando questa energia con condotte autolesionistiche. Oppure, avendo imparato dalle tue figure di riferimento una modalità rabbiosa e aggressiva di entrare in relazione con gli altri, da grande tenderai a comportarti allo stesso modo con i tuoi figli o il tuo partner.

Ovviamente quello che ti sto dicendo non è un’equazione: ci sono tutta una serie di condizioni interne e esterne che possono comunque essere “protettive”, permettendo alla Persona di reagire in maniera positiva nonostante tutto.

Questo, tradotto, significa che anche se hai un determinato passato non è detto che per forza avrai una serie precisa di difficoltà: ciò che è abbastanza certo è che la tua storia inciderà parecchio sul tuo modo di viverti ed esprimere le emozioni, rabbia compresa.

Allora, è importante iniziare a riflettere sul tuo rapporto con la rabbia e sulle modalità che usi per regolarla, perché questo ti può dare delle indicazioni preziose rispetto a chi sei e a cosa puoi migliorare di te.

 

Pillole di gestione della rabbia

 

Come abbiamo detto più volte, la psicoterapia è lo strumento di elezione che può aiutarti a lavorare su di te e, quindi, è utile anche per la gestione e la comprensione della tua rabbia. Dato questo per scontato, in questa sede andiamo brevemente a vedere quali possono essere delle “strategie” funzionali per esprimere la tua rabbia in maniera più adattiva.

 

1. Pensala diversamente.

 

La maggior parte delle volte ci arrabbiamo perché sentiamo che gli altri non ci rispettano, se ne approfittano di noi, non ci ascoltano, ci tradiscono: alimentare questo tipo di pensieri con una ruminazione a base rabbiosa non farà altro che peggiorare la tua situazione.

Non ti sto dicendo di “porgere l’altra guancia” e perdonare sempre e comunque: prima di inveire contro l’altro o vendicarti in qualche modo, ti invito a cambiare un pochino punto di vista.

Inizia, intanto, con il guardare alla situazione nella sua totalità, evitando il più possibile catastrofismi o generalizzazioni inutili: dove inizia la responsabilità dell’altro, ma dove inizia anche la tua? Se continui a vederti sempre come la “vittima” della situazione, difficilmente crescerai davvero. 

In questo senso, prova a criticare il comportamento specifico della Persona, non la Persona in toto, sforzandoti il più possibile di farlo mentre provi a ricordare anche dei momenti belli con quella stessa Persona, o delle cose che ti ha insegnato o che apprezzi di lei. Questo può aiutarti a vedere la questione con più lucidità e a trovare delle spiegazioni alternative al comportamento altrui che percepisci al momento solo come un qualcosa che ti ferisce di proposito.

 

2. Prenditi del tempo.

 

Prima di dare libero sfogo alla tua rabbia, staccati un attimo dalla situazione e prenditi del tempo per fare delle cose che ti calmano. Per qualcuno può significare fare dei respiri profondi, per i più avvezzi fare addirittura qualche minuto di meditazione.

Oppure, puoi provare a rilassarti visualizzando un posto per te rassicurante e affettivamente caldo, o immaginando qualcosa che ti fa stare bene. O, ancora, molto più praticamente darti qualche “coccola” con qualcosa che di solito ti mette di buon umore, tipo mangiare un cioccolatino o mettere il tuo profumo preferito, fare due passi o ascoltare una musica a te cara.

 

3. Accogli e comprendi.

 

Se ti approcci alla tua rabbia come ad un qualcosa che devi eliminare dalla tua esperienza farai solo dei danni: resterai vittima perché la leggerai sempre come un’esperienza fuori controllo e da cui rifuggire senza possibilità alcuna di gestione.

Se inizi, invece, ad accogliere davvero quello che senti legittimandolo, forse la carica energetica della rabbia inizierà a scemare proprio perché si sentirà “vista” e ascoltata in ciò che vuole dirti.

E, passo successivo, inizia proprio ad ascoltare la tua rabbia per comprenderla: da dove arriva? Qual è il bisogno che hai in questo momento? Qual è la ferita che si nasconde dietro la tua rabbia?

Di solito nel momento in cui vai oltre la rabbia stessa, ascoltando cosa ha da dirti, diminuirà “magicamente”. Siamo portati, infatti, a buttare fuori la rabbia per l’ingiustizia subita senza curarci minimamente della ferita che ci portiamo dentro per questa ingiustizia.

Solitudine, senso di fallimento, bisogno di sentirci amati e rispettati, vergogna, paura: sono tante le emozioni che la rabbia copre e, se impari, a guardarle e ad accoglierle anche la rabbia che sta in superficie ti sembrerà più comprensibile e controllabile.

 

4. Verbalizza.

 

Infine, punto finale ma non meno importante, dai voce a ciò che senti trasformandolo in parole. Ma non intendo di inveire contro l’atro o ripeterti fino allo sfinimento tutto quello che hai subito ingiustamente: intendo proprio dirti qual è la ferita che senti celata dentro la tua rabbia e qual è il bisogno che hai in questo momento.

Dare un nome, e quindi mettere in parole cosa provi, ti può aiutare non solo a mettere ordine nel caos emotivo del momento, ma anche a guardarti dentro provando a trovare una “soluzione” più adattiva rispetto all’evento.

Questo si può tradurre, per esempio, nel mostrare un atteggiamento più assertivo verso chi ti ha ferito, manifestandogli il tuo disappunto, ma focalizzando l’attenzione su come ti ha fatto sentire e su cosa potete entrambi fare per sentirvi più comodi nella relazione. In questo senso, l’ottica deve essere quella “ripartiva”invece che accusatoria, costruttiva invece che aggressiva e distruttiva.

 

Chiaramente attuare tutto questo non è proprio una passeggiata e richiede un duro lavoro interiore e tanta pazienza ma, se inizi a metterti in gioco, potrai pian piano raccoglierne i frutti!

 

Ti saluto come sempre con degli spunti da leggere se vuoi approfondire:

- “Che rabbia. Come controllarla prima che lei controlli te”, di Albert Ellis.

- “Spegni il fuoco della rabbia”, di Thich Nhat Hanh.

- “Lavorare sulla rabbia”, di Thubten Chodron.

 

  

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.