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Regolazione emotiva e dintorni

Strategie di regolazione STEP 1: riconoscere e accettare


All’interno di questo nostro viaggio nel mondo delle emozioni e della regolazione emotiva abbiamo ripercorso un po’ alcuni concetti importanti che ci possono aiutare ad acquisire maggiore consapevolezza e a trasformarla in “vita vissuta” in termini un po’ più pratici e concreti.

Abbiamo visto cosa sono le emozioni, come incidono sulla nostra vita e sui nostri comportamenti, come si sviluppano e si esprimono, come si “misurano” e come si collocano all’interno del nostro funzionamento complessivo.

Se hai seguito tutto il mio discorso avrai, magari, una visione un po’ più chiara di cosa sia la finestra di tolleranza, di cosa voglia dire regolare le nostre emozioni e di quanto le nostre relazioni di attaccamento possano essere fondamentali in questo processo.

La teoria polivalgale di Porges, poi, ci aiuta a comprendere cosa succede quando siamo dis-regolati sia in termini di ipoattivazione che di iperattivazione, e ci permette anche di ricondurre tutto questo a dei meccanismi “fisici” ben precisi. Avrai anche un’idea almeno generica di quali sono le manifestazioni “tipiche” di questa dis-regolazione sia a livello personale, che comportamentale, che relazionale.

E adesso che si fa?

Adesso proveremo ad approcciare il discorso sulla dis-regolazione in termini un pochino più concreti, andando a vedere quali possono essere i passaggi utili da attuare nel processo di regolazione emotiva in genere e di gestione della crisi in caso di dis-regolazione.

Sia chiaro, queste righe non hanno, ovviamente, la pretesa di essere né esaustive né complete e, cosa ancora più importante, non possono sostituirsi in alcun modo al lavoro importantissimo che potresti fare nella stanza di terapia!

Mi piace immaginare la regolazione emotiva come una specie di “processo”, un cammino fatto a step che si sviluppa andando piano piano a circoscrivere il campo e a diventare sempre più specifico mentre ci addentriamo nella questione.

Lo step di cui ti parlo oggi è il primo, quello da cui bisogna partire, la base fondamentale senza la quale non potrai poi regolarti in caso di crisi­. E uso due parole fondamentali per descriverlo: RICONOSCIMENTO e ACCETTAZIONE.

 

 

Riconoscere le emozioni

 

Se andiamo a cercare semplicemente su Google il significato della parola “riconoscere” ci viene fuori questa definizione: “percepire come già noto o familiare qualcosa o qualcuno, oppure accettare, ammettere o dichiarare qualcosa come valido. I sinonimi di "riconoscere" includono identificare, individuare, distinguere, discernere”.

Già solo attraverso questa definizione possiamo ipotizzare cosa significhi riconoscere le proprie emozioni. Immagina di uscire a fare una passeggiata nel centro del paese dove sei nato/a e cresciuto/a: ti capiterà sicuramente di incrociare qualche faccia nota e, sicuramente, saluterai chi incontri e ti fermerai anche a fare due chiacchiere con chi conosci un po’ di più.

Riconoscere le proprie emozioni vuol dire percepirle come familiari, come un qualcosa che conosciamo e che ha un nome e un cognome e, successivamente, salutarle.

Purtroppo, però non sempre siamo capaci di farlo: ci manca, magari, quella che si chiama alfabetizzazione emotiva, cioè non abbiamo fatto sufficiente esperienza con le nostre emozioni tanto da non saperle riconoscere.

L’alfabetizzazione emotiva passa dall’educazione (dentro e fuori le mura di casa) ed ha a che vedere con quello che abbiamo detto a proposito di attaccamento e regolazione: se nessuno mi insegna a riconoscere le mie emozioni io sarò “a digiuno” rispetto ad esse e, di conseguenza, non saprò poi regolarle e via dicendo.

E come possiamo fare a riconoscere le nostre emozioni se non sappiamo farlo??

Il primo passo è osservare. Non so se ti capita mai di sorprenderti a guardare gli altri mentre sei seduto/a su una panchina, o mentre sei alla cassa al supermercato o durante una cena al ristorante: se ti fermi ad osservare chi ti sta attorno puoi ricavare molte informazioni importanti anche sulle emozioni.

Osservare il non verbale delle Persone (lo sguardo, la postura, la prossemica), ma anche tutte le forme paralinguistiche che hanno a che vedere con come si dicono le cose ci possono dare tanti indizi anche su cosa provano gli altri.

Ancora, vai a teatro! Il teatro (o il cinema) è il luogo per eccellenza dove ci si può allenare con le emozioni, sia osservandole negli altri che osservandole dentro di noi in risposta a ciò che ci arriva da fuori.

Ma non devi per forza andare così tanto lontano eh! Puoi usare anche te stesso/a come cavia! Osservati un po’ di più, guardati allo specchio per qualche secondo, guardati negli occhi: prova a leggerti, a capire che emozione provi anche da come ti atteggi, dal tono di voce che usi, dalla postura che adotti, dalle espressioni facciali che fai.

Secondo passaggio dopo l’osservazione è quello del sentire. Le emozioni non possono essere pensate, vanno provate! E qual è la sede primaria e più importante dove possiamo trovarle? Nel nostro corpo!

Le nostre emozioni nascono e si esprimono in primis nel nostro corpo e, per questo, dobbiamo imparare a sentirle nel corpo. Sai quante volte mi capita di ascoltare i miei pazienti parlare di emozioni senza sentirle davvero? E, allora, il lavoro che si fa in terapia è anche quello di imparare a sentirle le emozioni, non solo a dirle in maniera vuota!

Sentirle significa stare sul corpo, su tutte le sensazioni che ci arrivano nello loro caratteristiche puramente sensoriali, identificare i connotati fisici dell’emozione in questione. Per esempio, chiediti spesso come stai e cosa provi, e rispondi a questa domanda ascoltando tutti i segnali che arrivano dal tuo corpo, oltre che dalla tua mente.

Infine, ultimo passaggio del riconoscimento emotivo è quello del dare un nome all’emozione. Se scomodo di nuovo il signor Google, trovo che dare un nome vuol dire “attribuire un'identità verbale a qualcosa o qualcuno”, quindi dare una sorta di “esistenza verbale” che sia condivisa e condivisibile.

Questo concetto è molto importante perché ci permette di non restare chiusi in noi stessi ma di aprirci alla condivisione: se parliamo tutti lo stesso linguaggio, in questo caso emotivo, ci capiamo. Più o meno. Il linguaggio ci permette di designare un qualcosa rendendolo esperienza comune: per intenderci, se dico che sono felice tendenzialmente la maggior parte della gente avrà presente cosa sto intendendo!

Anche questo sembra scontato ma, in realtà, non lo è: spesso non possediamo un linguaggio emotivo, non abbiamo proprio le parole per esprimerci a livello emotivo e dobbiamo acquisire un “vocabolario emotivo” che ci aiuti nel riconoscimento con noi stessi, ma anche e soprattutto nella condivisione con gli altri.

Impara a dare un nome alle emozioni per esempio leggendo romanzi: questo espanderà il tuo vocabolario emotivo permettendoti di identificare tutte le possibili sfumature e la diversa intensità con cui possono essere esperite le emozioni.

 

Accettare le emozioni

 

Ultimo passaggio di questo step, ma non certo per importanza è quello dell’accettazione. Google ci dice che accettare significa “accogliere, ricevere o consentire qualcosa”: cioè dire alla tua emozione che è la benvenuta in casa tua, qualunque essa sia.

E qui si apre una questione molto complessa che è, poi, alla base della dis-regolazione: facciamo fatica ad accogliere le nostre emozioni, soprattutto quelle che reputiamo “scomode”. E sai perché? Perché non vogliamo provare dolore, perché non vogliamo stare nel disagio, perché non vogliamo sentire note stonate.

Il punto, però, è che se fai di tutto per evitarle non risolverai i tuoi problemi, andrai solo a peggiorarli.

La maggior parte delle volte si è dis-regolati proprio perché non si ha la capacità di fermarsi ad accogliere la propria emozione “scomoda” e, per evitarla, si fanno delle altre cose per tamponarla (come abbuffarsi, tagliarsi o freezarsi).

Buona parte del lavoro di psicoterapia consiste, infatti, proprio nell’imparare a guardare in faccia la tua esperienza senza giudizio e senza censure, così com’è, nel bene e nel male.

Magari avrai sentito altre volte la frase “surfare l’emozione”: questa frase (che va anche molto di moda ultimamente!) è un modo diverso per dire di non scappare davanti alla tua emozione, ma di starci attraversandola.

E come si fa? Non c’è una ricetta preconfezionata per farlo, ma tutto questo si può fare “semplicemente” stando con quello che c’è in maniera presente. Quante volte fai un’azione tipo lavare i piatti e nemmeno ti rendi conto di averla fatta?

Ecco, stare con le proprie emozioni vuol dire sentirle nel qui ed ora di quando si manifestano usando tutti gli strumenti del riconoscimento: fermandosi, sentendole nel corpo, osservandole nel loro modo di manifestarsi, e provando poi a dare loro un nome o una declinazione il più possibile specifica.

In questo senso, come vedremo, la meditazione è una via fondamentale per stare con la propria esperienza emotiva.

Vedremo, infatti, nelle prossime puntate un po’ più da vicino come attraversare l’onda emotiva, come agire attivamente l’accettazione. Devi sapere, infatti, che l’accettazione non è un’adesione passiva e impotente a quello che c’è, ma un’operazione attiva di regolazione.

 

 

Mi auguro che questa panoramica su questo primo step della regolazione emotiva ti sia stata utile e, come sempre, ti lascio qualche titolo utile se vuoi saperne di più: 

 

- “Restare in piedi tra le onde. Manuale di gestione delle emozioni”, di G. Romagnoli.

- “Crisi tempestose. Gestire le emozioni e ritrovare la serenità”, di F. Carbone.

- “Attraversare le emozioni”, di D. Fosha.

- “Mindsight. La nuova scienza della trasformazione personale”, di D. Siegel.

- “Intelligenza Emotiva. Che cos’è e come può renderci felici”, di D. Goleman.

 

 - “Emozioni a colori. Piccola guida per ritrovare il sé autentico” di M. Anfossi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.