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Abitare il presente

Mindfulness e vita quotidiana


Sei più nel passato o nel futuro?

Ti faccio questa domanda così, a bruciapelo, perché posso garantirti che passiamo la maggior parte del nostro presente nel passato o nel futuro.

Ma se siamo nel presente – potresti dire – come facciamo ad essere anche nel passato o nel futuro?

Perché non viviamo il nostro presente. E, se non stiamo nel presente, non viviamo e basta.

So che questa cosa ti sembrerà assurda, troppo rigida o anche abbastanza filosofica e poco pratica, ma è la cruda verità che descrive, purtroppo, il nostro modo di vivere.

Fai mai caso a ciò che stai facendo mentre guidi o mentre lavi i piatti? La maggior parte delle volte io no, devo confessartelo. A meno che quello che stiamo facendo non ci appassioni davvero, è molto difficile che la nostra testa presterà attenzione a ciò che stiamo facendo nel presente e, invece, vagherà indisturbata nei meandri del “potevo- dovevo …” del passato o del “dovrò-farò” del futuro.

E cosa c’è di male in questo? Beh, semplicemente che non sarai pienamente presente quando devi esserlo, nell’unico momento che ti è dato di vivere, cioè il presente.

La Mindfulness è una pratica molto antica nata nelle civiltà orientali, che oggi è entrata a pieno titolo nel mondo occidentale, e soprattutto anche nei settori della medicina, della psicologia, del benessere in generale.

E perché è così importante? Perché può aiutarti a riappropriarti del tuo presente, ad abitare davvero il tuo corpo e la tua mente.

 

Abitare il presente

 

Fare Mindfulness significa dirigere consapevolmente la propria attenzione al momento presente.

Come si fa? Ormai puoi trovare miriadi di spunti pratici per meditare, anche la rete è piena di audio o video utili per facilitarti nella pratica. Non entrerò tanto nel merito del come e, solo per darti un’idea, l’esercizio base che puoi fare per metterti alla prova su questo è quello di sederti con gli occhi chiusi per una decina di minuti (poi potrai aumentare gradualmente il tempo), provando a concentrarti sul tuo respiro e notando tutti i pensieri, le sensazioni fisiche o le emozioni che arriveranno senza agganciarti ad esse.

L’intento del mio post, però, non è quello di insegnarti a meditare, ma di farti riflettere su quanto questa pratica può essere di aiuto per la tua crescita interiore. E, per farlo, partiamo dalla definizione di Mindfulness che ti ho appena dato. Infatti, dietro questa definizione si nasconde tutto il senso e l’utilità di questa pratica antica, ma molto attuale.

In primo luogo ragioniamo sulle parole “dirigere consapevolmente”: se ci rifletti un po’, potrai convenire con me sul fatto che quando mediti fai una scelta ben precisa, quella di dirigere consapevolmente la tua attenzione. Questo, tradotto in altri termini, significa che diventi soggetto attivo, che non sei “vittima” dei tuoi pensieri e del tuo sentire, come spesso puoi sentirti.

Quando, invece, ti immergi in pensieri carichi di rimpianto rispetto al passato o pieni di preoccupazioni per il tuo futuro, perdi il tuo potere personale perché, fondendoti con i tuoi pensieri e le tue emozioni, ne diventi vittima. Viceversa, nel momento in cui mediti eserciti la tua volontà e decidi in prima persona di guardare ciò che accade dentro di te senza farti fagocitare da esso.

So che questo discorso può sembrarti complesso e poco pratico, proviamo a fare un esempio: se hai un esame a breve e inizi a stare sul futuro, su come potrebbe andare e sulle probabilità di riuscita che hai, diventi vittima di questo pensiero e non vivi il tuo presente perché sei già al momento dell’esame.

Nel peggiore dei casi la tua ansia in merito aumenterà e, nello stesso tempo, ti sarai persa/o ciò che stai vivendo nel presente perché non lo stai semplicemente vivendo. Se, invece, ti limiti a stare su cosa senti in questo dato momento, accogliendolo per quello che è senza giudicarlo, amplificarlo o fonderti con esso, lo vedrai scorrere nella tua testa e lo lascerai andare come un qualcosa che arriva da dentro di te, ma che non ti destabilizza più di tanto proprio perché lo stai accogliendo.

La seconda parolina magica è, infatti, attenzione. Attenzione significa che sei profondamente connessa/o con la tua realtà attuale, senza se e senza ma e, soprattutto, che la stai accogliendo dentro di te senza giudicarla né volerla cambiare.

Un errore che spesso facciamo è, invece, quello di evitare certi pensieri, emozioni o stati fisici se sono in qualche modo spiacevoli per noi: scappiamo a gambe levate dal dolore emotivo, dalla sofferenza fisica, dalla “scomodità” in generale. Ma, scappando, non facciamo altro che rendere quella cosa ancora più grande e minacciosa, oltre a diventare succubi e vittime rispetto alla cosa stessa.

Nella pratica della consapevolezza, invece, sei tu che scegli di fare attenzione a ciò che arriva da dentro e fuori di te, registrando il dato senza alcuna aspettativa, né positiva né negativa. Qui la logica è proprio quella del “lasciare che sia”, senza forzare nulla in nessun senso: molto diverso dal pensare positivo o cose del genere, non trovi?  

Non parliamo, quindi, di fare qualcosa: anzi, meditare significa proprio non fare, ma essere.

 

Mindfulness come modo di essere

 

L’ultima parola della definizione che ti ho dato su cui voglio soffermarmi è proprio “presente”: l’invito della pratica è, appunto, quello di stare sul presente e di riportarti al presente tutte le volte che sarai fisiologicamente portata/o a vagare altrove con la testa.

Esercitarti in tal senso ti permette di riprendere possesso di te e del tuo sentire: non sei più un topolino che gira senza posa dentro una ruota, ma sei qualcosa. Viviamo la nostra vita facendo, facendo e ancora facendo e non siamo più capaci di stare in silenzio senza fare nulla. Ci sembra, forse, di perdere del tempo, di non concludere nulla, come se tutto dovesse essere in qualche modo “produttivo”.

Consapevolezza significa presenza, ed essere presenti significa esserci e basta. Ecco che, in tal senso, meditare ci aiuta ad essere un pochino di più e a fare un pochino di meno. O, comunque, a fare con consapevolezza: ci sono, infatti, un sacco di pratiche che prevedono l’esercizio della consapevolezza proprio mentre si fanno delle attività che di per sé spesso ci portano a vagare con la testa, come camminare, lavare i piatti e simili.

Non è importante cosa fai, ma come lo fai e come lo vivi. Se fai senza presenza non sei in contatto, se fai con consapevolezza e volontà sei in profonda connessione con ciò che ti succede dentro e ciò che ti arriva da fuori. Ecco che, allora, la dimensione della Mindfulness è in primis una dimensione di ascolto e, in conseguenza di ciò, di accettazione attiva di tutta la tua esperienza.

Non ci sono esperienze belle o brutte, piacevoli o spiacevoli: ci sono esperienze in generale, che hanno tutte le stessa importanza e legittimità, in quanto costituiscono ciò che siamo e non solo ciò che facciamo.

Uno dei più importanti maestri in tema di meditazione è John Kabat-Zinn, e nei suoi libri sottolinea un aspetto per me fondamentale nell’approccio alla Mindfulness: la pratica della consapevolezza non deve cambiarti, ma può servirti per entrare in contatto vero con ciò che già sei e, in particolare, con tutto quello che di più bello e funzionale sei.

Credo che questo approccio possa aprire a delle dimensioni di senso molto importanti, perché ci può permettere di vedere la meditazione non come l’ennesimo strumento per cambiare qualcosa di noi o per raggiungere un qualche risultato, ma come via per incontrarci, ascoltarci e rientrare in contatto con la parte più bella di noi che, spesso, fatica a venire fuori.

 

I 7 principi di base per una buona pratica

 

Sempre John Kabat-Zinn ci dà delle indicazioni utili per far sì che la pratica della consapevolezza possa essere svolta nel migliore dei modi. Questi principi hanno un po’ a che vedere con il “mood della pratica”, con l’assetto più funzionale per arrivare ad entrare in contatto con il proprio presente.

Te li elenco qui sotto e li andiamo a commentare brevemente.

 

1. Non giudizio.

Non so se ti è mai capitato, ma è frequente ritrovarsi a giudicare la propria esperienza, come se ce ne possa essere una “giusta” e una “sbagliata”. L’approccio della consapevolezza ti richiede, invece, di sentire tutto ciò che arriva da te senza andare a processarlo in una direzione piuttosto che in un’altra.

E, ancora più difficile, l’invito è quello di non prendertela con te stessa/o nel momento in cui ti renderai conto che ti stai giudicando: più ti allenerai a notare ciò che accade senza dare una connotazione di alcun tipo, più sarai aperta/o alla tua esperienza così com’è.

 

2. Accettazione.

Se imparo a non giudicare, riuscirò pian piano a prendere atto della mia esperienza accettandola per quella che è, registrandola senza darle una qualche connotazione, e lasciandola fluire dentro di me in un’ottica di profonda accoglienza di tutte le sfaccettature di ciò che sto sperimentando, positive o negative che siano.

 

3. Lasciare andare.

Lasciare andare significa non fondersi con quello che percepiamo ma, appunto, notarlo senza legarci ad esso e lasciarlo fluire dentro di noi, come se fosse una foglia autunnale che vediamo scorrere in un fiumiciattolo davanti ai nostri occhi.

L’aspetto del lasciare andare è, forse, il più complesso ma anche il più importante della consapevolezza: posso dirigere consapevolmente la mia attenzione al momento presente solo se non giudico ciò che sperimento, e lo accetto lasciandolo andare dentro di me.

Questo vuol dire non alimentare un pensiero o amplificare un’emozione, ma notarli prendendone, nello stesso tempo, le distanze.

 

4. Pazienza.

Altro principio a mio avviso fondamentale è proprio quello della pazienza: all’inizio meditare non è per niente facile, e ti potrebbe capitare di sperimentare frustrazione perché non riesci, o perché ti senti vittima di pensieri ed emozioni.

Esercitare la pazienza vuol dire aspettare e riprovare, dandoti la possibilità di vedere cosa succedere di volta in volta. Anche perché, se non ti giudichi, anche ciò che potresti leggere come “errore” non sarà più sinonimo di fallimento e resa.

 

5. Fiducia.

In linea con il punto precedente, altra dimensione importante è proprio quella della fiducia. In te mentre fai esperienza di ciò che vivi momento dopo momento, e nella tua esperienza in genere, che va accolta così com’è senza se e senza ma.

 

6. Mente del principiante.

Accogliere la tua esperienza così com’è si porta con sé una grande implicazione: riesci davvero a connetterti con la tua realtà nel momento in cui la guardi come se la vedessi per la prima volta, con la curiosità e l’interesse di un bambino, con l’entusiasmo che si cela dietro una cosa che sperimentiamo per la prima volta. Questo significa praticare senza aspettarci nulla e senza preconcetti di alcun tipo.

 

7. Non cercare risultati.

Un errore che spesso si fa è quello di pensare che si mediti per ottenere un qualche risultato: migliorare il proprio benessere interiore, ridurre il proprio livello di stress, acquisire più consapevolezza di ciò che si vuole, e via dicendo.

In realtà questo approccio alla meditazione è controproducente, perché va a negare il principio stesso su cui si fonda, cioè quello di vivere il momento presente senza fare e senza aspettarsi nulla di conseguenza. Tutto ciò che di buono ne verrà sarà, quindi, solo un corollario dell’atteggiamento di base che sarai riuscito ad adottare.

 

 

Spero che queste riflessioni sulla Mindfulness ti abbiano fatto venire voglia di provarla e, come sempre, ti lascio qualche testo utile per approfondire:

- “Vivere momento per momento. Come usare la saggezza del corpo e della mente per sconfiggere stress, dolore, ansia e malattia”, di John Kabat-Zinn.

- “Mindfulness. 10 tecniche essenziali”, di Michael Doody.

- “Qui e ora. Strategie quotidiane di mindfulness”, di Ronald Siegel e G. Lo Iacono.

- “Guarisci te stesso. Lezioni di mindfulnes”, di Saki Santorelli.

 

 

 

 

 

  

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.